Una serie di attacchi con droni sono stati sferrati sabato contro due istallazioni petrolifere della Aramco, la compagnia petrolifera statale dell’Arabia Saudita. Nonostante i bombardamenti siano stati subito rivendicati dai ribelli houthi, che fronteggiano i sauditi in Yemen sostenuti dall’Iran, ci sono ancora molti dubbi su chi sia effettivamente il responsabile: gli Stati Uniti puntano il dito contro Teheran che a sua volta respinge le accuse. Ad essere colpiti sono stati gli impianti di produzione di Khurais e la raffineria di Buqyak, con quest’ultimo che, con una capacità di lavorazione di sette milioni di barili al giorno, è il più importante sito petrolifero di questo tipo al mondo. Dimezzata, di conseguenza, la produzione saudita di petrolio: secondo le stime, con l’attacco si sono persi cinque milioni di barili al giorno, quasi il 5% della produzione giornaliera mondiale (da sola l’Arabia Saudita esporta il 10% delle forniture globali). Riad ha comunque assicurato che con le riserve riuscirà a garantire gli impegni presi per circa due mesi, mentre il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha autorizzato l’uso delle riserve strategiche per evitare shock. Intanto sono state immediate le ripercussioni sui mercati, con i benchmark londinese e nordamericano, il Brent del Mar del Nord e il West Texas Intermediate, che all’avvio delle contrattazioni hanno registrato crescite dei prezzi superiori anche al 15% (+15,5% per il WTI e +19.5% per il Brent), registrando il maggior aumento giornaliero dal 1988, ovvero da quando sono stati introdotti i future.