di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Siamo abituati a pensare alla California come a un laboratorio della modernità, culla di nuove idee destinate poi a influenzare, in un modo o nell’altro, il resto del mondo. Stavolta però quella che sta avvenendo da quelle parti ha tutta l’aria di una controrivoluzione. È stato infatti approvato dal Senato californiano un disegno di legge che a partire dal 2020, se otterrà anche l’assenso dell’Assemblea di Stato, obbligherà le piattaforme digitali a riconoscere i lavoratori che prestano servizio tramite iscrizione all’app non più come collaboratori, ma come dipendenti. Si parla degli autisti di Uber e Lyft, dei fattorini che consegnano cibo a domicilio e così via. La “gig-economy”, l’economia dei lavoretti sottopagati sui quali si fondano le fortune di aziende multinazionali e multimiliardarie che operano nella rete, complice la difficoltà a trovare il discrimine fra attività indipendente o subordinata in un settore basato su un’organizzazione del lavoro inedita. Proprio nella patria delle nuove tecnologie, nate appunto nella Silicon Valley, ora si è deciso di porre un freno alle storture dell’era del “lavoro liquido” ricominciando a usare termini che sembravano sorpassati come obblighi, diritti, tutele. La senatrice Dem Maria Elena Durazo, fra i promotori della legge, ha detto un’ovvietà, che però negli ultimi tempi sembrava impronunciabile: “Non c’è nulla di innovativo nel sottopagare le persone e basare un intero modello di business su di un’errata considerazione dei lavoratori”. Forse la febbre ultraliberista, che come spesso abbiamo detto negli ultimi anni aveva contagiato un po’ tutti e soprattutto la sinistra, sta finalmente passando. Ce lo auguriamo. Anche in Italia si sta tentando di disciplinare la materia. Quella di una migliore tutela dei rider era infatti una delle azioni inaugurate dal “governo del cambiamento” ed è ora entrato in vigore il decreto legge 101/2019, approvato il 6 agosto scorso – prima della crisi – e non bloccato dai “giallorossi”, con il quale si riconoscono alcune tutele ai rider, anche se restano in sospeso molte questioni fondamentali a partire dalla salute e sicurezza. Anche al di qua dell’Oceano occorre fare di più e disciplinare meglio il settore del lavoro tramite app. Il che non significa negare il progresso e voler tornare a un passato, quello fondato sulla fabbrica fordista, fatto di tante luci, ma anche altrettante ombre. Vuol dire semplicemente rendersi conto che anche se l’economia e l’organizzazione del lavoro possono e devono cambiare sulla base delle innovazioni tecnologiche, si deve tener conto, sempre e comunque, della dignità del lavoro. Per ragioni di giustizia sociale innanzitutto, e poi, in secondo luogo, anche per motivazioni di natura economica e politica, poiché solo in questo modo si salvaguarda a lungo termine il benessere generale e la coesione sociale.