di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Joshua Wong, leader delle proteste anticinesi a Hong Kong che attualmente si trova in Germania, ha pronunciato parole molto evocative dichiarando che la città asiatica «è la nuova Berlino nella nuova guerra fredda». Si riferiva alla durezza della repressione nei confronti dei manifestanti, contro la quale l’attivista chiede parole di condanna dai Paesi occidentali. La governatrice Carrie Lam dice invece «no a ingerenze esterne nella crisi». All’origine delle manifestazioni popolari, che proseguono ininterrottamente da marzo, la proposta di legge sull’estradizione che, se approvata, avrebbe allentato il confine fra il sistema giuridico cinese e quello di Hong Kong rendendo possibile il giudizio dei tribunali della Repubblica Popolare per le persone accusate di reati gravi. Il disegno di legge è stato infine ritirato dalla Lam, ma i contestatori considerano questo passo ormai insufficiente dopo le violenze subite. Il nodo della questione è, comunque, il futuro di Hong Kong. La città è ormai indipendente dal Regno Unito, di cui era colonia, da 22 anni. Ha vissuto finora come regione amministrativa speciale, conservando uno status particolare rispetto a Pechino, ma in molti temono di perdere progressivamente ogni autonomia fino ad essere assorbiti in toto dalla Cina e dal suo sistema. Le parole di Wong ci fanno riflettere non solo sulla questione contingente, relativa alla legge sull’estradizione e sulle conseguenti proteste e repressioni, ma più in generale sul ruolo della Cina nel mondo contemporaneo. La globalizzazione per come oggi la conosciamo non sarebbe stata la stessa, anche in termini di conseguenze economiche e sociali in Europa e in Italia, se non fosse stata dominata dall’avanzata della potenza cinese. Con il suo miliardo e mezzo di abitanti, con la sua economia fondata su un capitalismo autoritario sotto la guida del Partito Comunista, con la sua manodopera a bassissimo costo, con le sue industrie in grado di fare una spietata concorrenza, con l’esportazione massiccia di prodotti in Occidente, la Cina è stata elemento determinante nell’economia e nella politica degli ultimi anni. L’ultra-liberismo ed il sovranismo, si pensi alla “guerra dei dazi” di Trump, possono anche essere interpretati come due soluzioni opposte allo stesso problema: la necessità di contrastare lo strapotere economico cinese. Ebbene, se, come afferma l’attivista di Hong Kong, la città stato asiatica è oggi quello che fu Berlino nell’epoca della guerra fredda, ci chiediamo cosa accadrebbe se le proteste dovessero estendersi a tutta la Cina, con la richiesta di più libertà e più diritti, anche nel mondo del lavoro, e se da ciò scaturisse un cambiamento. Anche in Asia potrebbe cadere un simbolico muro, come quello che fu abbattuto nell’89 in Europa, e, come allora, ci sarebbero importanti ripercussioni in tutto il mondo.