di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Il governo Conte due è ufficialmente in carica e tutto l’ampio e variegato apparato del politicamente, socialmente ed economicamente corretto sembra tirare un grosso sospiro di sollievo. Il clima, per loro, è quello dello scampato pericolo. Il fermento creato dal “governo del cambiamento”sembra già un lontano ricordo. Il sovranismo, o populismo o che dir si voglia, con il suo carico di irriverenza e iconoclastia capace di travolgere il sistema, al momento è stato messo all’angolo, almeno nel nostro Paese. La foto di gruppo del giuramento dei nuovi ministri rende bene l’idea: dove un anno fa c’erano baldi e scapigliati agitatori ora troviamo perbenisti moderati e azzimati. I pochi reduci dell’esecutivo precedente sembrano tanto diversi da essere quasi irriconoscibili. Le alchimie di palazzo, il M5S “normalizzato”, la Lega all’opposizione. Davvero basterà questo per rientrare nei ranghi e fermare la voglia di cambiamento? L’establishment italiano spaventato dal sovranismo finora ha dato una lettura degli eventi recenti della politica molto auto assolutoria. Ha voluto credere che il malcontento popolare sia stato alimentato dai movimenti antisistema e non, cosa assai più probabile, che, al contrario, sia stata l’insoddisfazione nei confronti delle politiche portate avanti negli ultimi anni a spingere molti cittadini a cercare risposte diverse e a guardare altrove. Le persone in difficoltà badano alla sostanza e non alla forma, non contano più tanto nemmeno le vecchie appartenenze ideologiche. Proprio perché alle prese con questioni gravi e immediate, si rivolgono a chi offre soluzioni convincenti a problemi reali. Quello che conta è sapere se l’azienda in cui si lavora chiuderà o no, se le tasse aumenteranno o diminuiranno, quanti giorni o mesi ci vorranno per una visita medica, quanti anni ancora per la pensione, se i propri figli troveranno lavoro o dovranno andare all’estero, se è sicuro mandare i bambini a scuola a piedi o bisogna invece accompagnarli. Di fronte a queste domande sempre più stringenti e per un sempre maggiore numero di persone, occorrono risposte. Non basta mandare all’opposizione la Lega e trasformare i 5 Stelle in moderati per mettere a tacere l’insoddisfazione popolare. Il nuovo governo sarà apprezzato dalla maggioranza degli italiani se porterà avanti il processo di cambiamento che era stato innescato da quello precedente. Dovrebbe però essere il Pd, con un’umiltà ed un acume che non gli sono propri (più scaltri invece a Bruxelles, dove dopo la mala parata stanno cambiando atteggiamento) a fare dietrofront su pensioni, lavoro, fisco, immigrazione, sicurezza, ma è alquanto improbabile. Se, invece, sarà, come sembra, il M5S a trasformarsi in partito di sistema, alla prima occasione di voto la richiesta di cambiamento tornerà con ancora maggiore forza a farsi sentire, premiando chi saprà ascoltarla.