di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Per comprendere in cosa dovrebbe consistere il governo Conte 2, possiamo basarci su due elementi. Il primo, i professori. Sappiamo che Conte, mattatore del momento ai danni di Di Maio, sarà affiancato con tutta probabilità da colleghi accademici, specie nei ministeri più importanti, a dare una patina tecnica a questo nuovo governo, non a caso ribattezzato da Salvini come “Monti bis”. Le figure non saranno scelte per investitura popolare, i politici più votati, ma per “competenze”, o per meglio dire saranno scelte fra i competenti i più graditi. Si pensi, per fare un confronto, alla sorte del, pur evidentemente competente, Savona all’interno del Conte 1. A questi tecnici, affiancati da qualche politico espressione delle varie correnti del Pd e del M5S, spetterà il compito di applicare quel “contrattino” ancora ufficioso che sintetizza l’accordo tra le due forze. La novità metodologica introdotta lo scorso anno, il contratto in 30 punti, dettagliato in 58 pagine, firmato dai leader e ratificato dalle rispettive basi, è ormai solo un ricordo. Al suo posto due paginette scarne di vaghi impegni. Resta la formalità del voto a scatola sostanzialmente chiusa su Rousseau. Entrambi gli elementi – professori e contrattino – attestano un ritorno al passato. Un passato di minore partecipazione popolare e maggiore verticismo. La rivincita delle élite. Per quanto riguarda il programma, è presto detto. C’è lo stop all’aumento dell’Iva, con l’aiuto di una più conciliante Bruxelles e soprattutto dei risparmi gialloverdi rispetto alle spese previste per RdC e Quota Cento. Eliminata, ovviamente, la flat tax: la riduzione dell’enorme pressione fiscale che pesa su cittadini e imprese ed ostacola la crescita non è considerata una priorità. Resta l’ipotesi del taglio del cuneo fiscale. Naturalmente non ci sono dettagli né numeri, le famigerate “coperture”. Le concessioni autostradali non saranno “revocate”, ma “riviste”. E non si tratta di sinonimi. Nella stringata lista c’è anche una legge sul conflitto di interessi, la web tax, l’acqua pubblica. Si parla della riforma dei meccanismi di elezione del Csm, ma le visioni di 5 Stelle e Pd sono piuttosto diverse. L’autonomia differenziata sarebbe temperata da un fondo di perequazione. Anche il taglio dei parlamentari ora può attendere una parallela revisione della legge elettorale per “garantire il pluralismo”. Scompaiono la riforma del sistema bancario e quella della Rai, depennate dai democratici. Particolarmente importante dal punto di vista sindacale la questione del salario minimo, che è stata inserita nell’agenda di governo, ma anche qui non è chiaro se prevarrà la linea del M5S, i 9 euro lordi, o quella del Pd. Dulcis in fundo, la revisione dei decreti sicurezza: multe più basse per le Ong e leggi annacquate sull’immigrazione clandestina. La minestra è servita.