di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Un bilancio sull’attuale situazione economica. A livello interno la crisi ancora morde e il nostro Paese cerca, lentamente a causa della contemporanea necessità di tenere a bada i conti pubblici, di superare anni di scelte politiche ed economiche sbagliate, anni in cui non c’è stata una progettazione sistemica lungimirante, anni nei quali è stata accantonata la questione sociale. Eppure, nonostante condizioni non favorevoli, gli indicatori sono rassicuranti, si pensi ai dati su occupazione e disoccupazione, ad esempio, segno che, malgrado gli allarmismi continui di certa parte politica e di certo giornalismo – allarmi che non giovano all’economia stessa e che anzi rischiano di condizionarla determinando un effetto di “profezia che si auto avvera” – le cose non vanno poi così male. Tutt’altro. Nel frattempo, a livello internazionale, la “guerra dei dazi” che contrappone la Cina agli Stati Uniti, le difficoltà dell’Europa, la Brexit alle porte, generano ulteriori incertezze. Certo, la situazione non è semplice. Si intravede però qualche spiraglio di ripresa grazie alle ultime manovre espansive che hanno dato il via ad un cambiamento che deve necessariamente proseguire, anzi essere intensificato. Il fronte più critico resta infatti quello della domanda interna, dei consumi. Che interpretazione possiamo dare a tutto questo? E soprattutto come bisognerebbe agire nel prossimo futuro? In sintesi, dove va l’economia? A nostro avviso questi dati confermano ciò che sosteniamo da tempo: il fallimento delle politiche economiche improntate sull’austerity, l’effetto positivo delle prime azioni prodotte da quel cambiamento basato finalmente su manovre espansive di crescita e sulla necessaria attenzione al sociale e alle fasce più deboli, e infine la necessità di spingere sull’acceleratore, di insistere con azioni più dirompenti per avviare quel “new deal” di cui l’Italia ha bisogno. Puntando su una decisa rimodulazione del sistema fiscale. Parafrasando un noto motto: “pagare meno per pagare tutti”, con tasse più sostenibili che inducano all’emersione. Oggi infatti siamo nella situazione paradossale di essere contemporaneamente uno dei Paesi con maggiore pressione fiscale e con un tasso di evasione ed elusione ugualmente fra i più alti. Capire cosa non va e cosa invece si dovrebbe fare appare lapalissiano, basato su puro e semplice buonsenso. E poi investimenti, in infrastrutture materiali e immateriali, sia creandone di nuove ove necessario, che procedendo alla messa in sicurezza del territorio e del patrimonio immobiliare del Paese, scuole, ospedali, edifici pubblici, strade, rete ferroviaria e così via. Da fare ce n’è, e molto. Creando occupazione e generando sicurezza e sviluppo. Un’economia al servizio del popolo, “populeconomy” l’ho voluta definire nel mio libro. Dobbiamo andare necessariamente in questa direzione.