Le Borse asiatiche arrestano i ribassi consecutivi, ma resta piuttosto alta la volatilità dei mercati a causa dei timori legati alle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina. Ieri il Dipartimento del Tesoro statunitense ha definito la Cina «manipolatore di valute» (bisogna risalire ai tempi dell’amministrazione Clinton per una situazione analoga) a seguito della decisione di Pechino di far scendere lo yuan ai minimi degli ultimi 11 anni. La Banca centrale cinese si è limitata a spiegare che «la svalutazione dello yuan in agosto è stata decisa dal mercato e non ha nulla a che vedere con la manipolazione della valuta». Resta tuttavia evidente il segnale che Pechino vuole inviare a Washington: svalutando la propria moneta, la Cina rende più difficili le esportazioni Usa nel paese. Una risposta, dunque, ai nuovi dazi che Trump ha annunciato per settembre su beni e prodotti cinesi. Intanto, altra mossa di Pechino, le imprese cinesi hanno interrotto l’acquisto di prodotti agricoli statunitensi (di cui sono tra i principali acquirenti a livello mondiale). In questi giorni anche la Banca centrale europea è tornata sull’argomento, sottolineando che per il commercio si stima una risalita soltanto graduale nei prossimi mesi e che la debolezza degli scambi internazionali è stato l’elemento che ha maggiormente pesato sulla crescita mondiale.