di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

L’immagine che rappresenta la giustizia, che vediamo riprodotta in tante forme, basti pensare alle statue che adornano le facciate dei tribunali, è bendata. Impossibilitata a vedere e quindi a farsi condizionare dalle sembianze di chi deve giudicare, per garantire imparzialità, equità e rigore. Tutto questo per dire che sempre, e specialmente ora nel caso tragico della morte di Mario Rega Cerciello, Carabiniere ucciso in servizio a Roma lo scorso venerdì, ci aspettiamo una “giustizia giusta”. Attorno a quanto avvenuto, come accade spesso, si è scatenata una diatriba animata in alcuni casi più dalla faziosità che dalla voglia di appurare la verità e poi punire, di conseguenza, le persone riconosciute colpevoli. Pretendiamo, invece, che sia fatta piena luce sulle circostanze e che i responsabili dell’omicidio, identificati al momento in due studenti americani in visita nella Capitale, siano puniti adeguatamente. Come abbiamo detto anche in altre e differenti occasioni, giudicando ancor più grave un reato se commesso da chi è ospite nel nostro Paese: sia che si tratti di un turista proveniente dal ricco Ovest, che di un clandestino del Sud del mondo, nulla cambia. Ci auguriamo, quindi, che non ci sia nessuna indulgenza basata su una qualche forma di sudditanza nei confronti dell’alleato d’Oltreoceano. A proposito di bende, l’aver bendato uno dei due sospettati nel corso di un interrogatorio è senz’altro una pratica da condannare e bene ha fatto l’Arma a provvedere immediatamente a sanzionare il comportamento di chi ha attuato una simile condotta illecita, anche qui si indaghi, si verifichino i fatti e si proceda con conseguenti punizioni. Rimanendo, però, consapevoli dell’imparagonabilità delle due vicende: da un lato un efferato omicidio, undici coltellate contro un rappresentante delle Forze dell’Ordine, dall’altro una pratica esecrabile, ma non certo assimilabile a casi odiosi di accanimento sui prigionieri, si pensi alle vicende Aldovrandi o Cucchi. Insomma sarebbe necessario che tutti – in primis, naturalmente, inquirenti e giudici, ma anche politici, commentatori e più in generale la cosiddetta opinione pubblica – nel confrontarsi con un caso di cronaca così grave riuscissero a mantenere la “barra dritta” valutando i fatti in modo obiettivo, nell’interesse generale. Compreso anche un altro episodio collaterale a questo triste avvenimento, ovvero quello dell’insegnante (e giornalista) che in occasione della tragedia ha reagito insultando la vittima sui social e che ora si auspica che risponda pienamente della propria condotta deplorevole, aggravata non solo dall’avere responsabilità educative, ma anche dall’essere un dipendente pubblico e quindi rappresentante di quello stesso Stato che ha dimostrato di disonorare con il proprio comportamento. Giustizia, non abbiamo bisogno che di questo.