di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Durante il tour di presentazione di “Populeconomy” ho fatto molti incontri interessanti dal punto di vista politico e sindacale, ma anche umano. Recentemente, ad esempio, ho avuto modo di confrontarmi con Antonio Pennacchi. Un uomo con una storia particolare – la nascita in una famiglia operaia di Latina, venuta dal Veneto con la bonifica dell’Agro pontino, l’impiego come operaio alla “Fulgorcavi” con la tessera Cisnal in tasca e una militanza nel Msi, per poi negli anni successivi approdare alla sinistra marxista, infine la carriera di scrittore, sempre controcorrente e impegnato alla ricerca di una sua verità che andasse oltre cliché e facili etichette – storia che fa di questo uno fra gli incontri più significativi. Anche, in un certo senso, simbolici, evocativi di un altro incontro che al momento potrebbe sembrare impossibile e che invece dovrebbe essere nella natura stessa delle cose. Quello fra chi – a destra come a sinistra – ancora mette al primo posto la questione sociale. In fondo di questo parla il mio libro ed è su questo che si gioca la partita politica contemporanea: lo scontro non è più fra destra e sinistra, ma fra popolo ed élite, ovvero fra chi ha in mente un’economia inclusiva e partecipativa al servizio delle persone, e chi, invece, crede nella spietata e inesorabile legge del libero mercato, in cui “libero” non vuol dire aperto a tutti, ma, piuttosto, privo di regole sulla concorrenza leale e di aiuti a chi resta indietro. In questa battaglia politica, mentre la sinistra si è convertita al liberismo, imbellettandolo sotto la patina dei diritti civili, è la destra che si è messa dalla parte del popolo, riscoprendo e valorizzando la sua anima sociale. Un’anima che è sempre esistita, con fortune alterne, nella destra, soprattutto in Italia, anche se la vulgata dominante ha spesso travisato la realtà, dipingendo un mondo in bianco e nero in cui la sinistra tutta stava coi lavoratori e la destra coi “padroni”. Una narrazione superficiale e smentita ora dai fatti in modo palese, ma che non è mai stata vera, essendo l’anima sociale della destra – o almeno di una sua parte tutt’altro che marginale nella storia italiana – fortissima, sin dalle sue origini. Pennacchi lo ha sempre raccontato e gli va dato onore al merito. Chissà che un domani non si possa trovare un’intesa con coloro che, nello scontro fra popolo ed élite, hanno scelto come noi, anche se da un’altra prospettiva, di stare sempre dalla parte del popolo. Esistono anche a sinistra, Pennacchi lo dimostra, e noi che siamo stati vittime di una narrazione faziosa non dobbiamo commettere ora lo stesso errore.

Una citazione unica

Nell’intera cinematografia italiana, come ben sappiamo in gran parte orientata a sinistra e quindi non certo imparziale, non esistono citazioni o riferimenti alla nostra Confederazione, che pure fa parte della storia sindacale e politica del Paese dal 1950. L’unica eccezione è “Mio fratello è figlio unico” pellicola che prende spunto dal libro “Il fasciocomunista” proprio di Pennacchi, in cui si parla, il film è ambientato negli anni ’60 e ‘70, della Cisnal. Una chicca da cinefili che ci rende ancor più simpatico l’autore.