di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Ieri Ursula von der Leyen è stata eletta nuovo presidente della Commissione europea. Al posto di Juncker, che certamente non rimpiangeremo, dal prossimo novembre alla guida dell’Esecutivo Ue troveremo quindi, di nuovo, un rappresentante delle élite europee, di cui la von der Leyen fa parte a pieno titolo per idee, azioni e carriera nelle fila della Cdu di Angela Merkel. Poteva andare peggio, lo dimostra il nervosismo della sinistra e la presenza di molti franchi tiratori dei partiti della maggioranza europea, che non l’hanno votata. Ma poteva e doveva andare molto meglio. Von der Leyen è stata eletta con un margine di soli 9 voti rispetto al quorum richiesto. È stato quindi determinante l’appoggio dei 14 eurodeputati pentastellati, che hanno deciso di sostenerla. Ecco perché quella di ieri è stata un’occasione persa. Con un no compatto dei “sovranisti” italiani (senza considerare anche l’atteggiamento troppo morbido di formazioni non allineate di altri Paesi, che avrebbero potuto, anch’esse, dire no) e cioè con anche il M5S a fianco di Lega e FdI, sarebbe saltato il banco. Bastava un po’ più di coerenza e soprattutto di coraggio. Crederci fino in fondo, per cambiare, veramente e finalmente, l’Europa, quel sistema di poteri, economici e politici, che ha dominato a Bruxelles negli scorsi anni, contribuendo pesantemente alla crisi economica e sociale del Vecchio Continente e dell’Italia. Un sistema scricchiolante, lo dimostra lo stesso discorso tenuto dalla von der Leyen nel quale la neoeletta ha promesso di far propri quei temi sociali e politici finora ignorati, se non osteggiati, dalle forze che lei stessa rappresenta. Annunciando flessibilità sui conti pubblici e affermando “non è il popolo che serve l’economia, ma è l’economia che è al servizio del nostro popolo”, dopo anni in cui è avvenuto l’esatto opposto. Parlando di questioni sociali quando il pilastro sociale è stato da sempre in fondo all’agenda Ue. Dicendo di volere una riforma del regolamento di Dublino e nuove norme su immigrazione e asilo. Insomma venendo almeno in parte incontro, a parole, alle istanze dei sovranisti. A dimostrazione del fatto che il mantra neoliberista e immigrazionista è ormai stato sconfessato dai fatti e che non è più difendibile neanche da coloro che finora l’hanno sostenuto. Ma perché dare fiducia, per un presunto cambiamento, proprio a chi rappresenta la conservazione? Perché affidare di nuovo alle volpi le chiavi del pollaio? Se la musica è cambiata anche a Bruxelles, se anche l’establishment deve – obtorto collo – rivedere le proprie posizioni è solo grazie al timore, fondato, di essere prossimo alla propria, meritata, fine politica. Bisognava, piuttosto che tendere una mano, dare un’altra spallata a una classe dirigente che dovrebbe, e prima o poi sarà costretta a farlo dai cittadini europei, cedere il passo.