di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl
Se, all’indomani dell’assegnazione delle Olimpiadi invernali 2026 a Milano e Cortina, “torinodicebasta” e organizza per domenica prossima una manifestazione davanti al Palazzo Civico per chiedere le dimissioni del Sindaco Appendino, Roma che fa? Semplicemente Roma non ce la fa (più). Sono ovviamente contento per l’Italia, prima di tutto, per Milano e Cortina, ma da romano e da sindacalista non posso non esprimere la mia amarezza per l’occasione che Roma ha deciso di non cogliere e che, seguendone l’esempio per eccesso di “virtù”, anche Torino ha scelto di mancare.
Giovanni Malagò fa bene a ricandidarsi per il Coni – sarebbe a questo punto più che auspicabile una prosecuzione del suo mandato – perché fu lui ad avere l’idea geniale, quella che su una delle prime pagine de La Meta Serale chiamammo “L’uovo di Malagò”, ovvero candidare l’Italia dell’arco alpino ai Giochi invernali del 2026, presentando in gara unite tre città, Milano, Torino, Cortina, con le tre rispettive Regioni, invece di lasciarle competere una contro l’altra, come avviene solitamente per le Olimpiadi. Torino decise di defilarsi per una serie di ragioni più squisitamente politiche, prima che economiche, ricalcando così il comportamento di un altro Sindaco, Virginia Raggi, che rinunciò a candidare una già martoriata e depressa Roma alle Olimpiadi 2026, indicando quale apparentemente ragionevole giustificazione, come ancora fa oggi, i 13 miliardi di debito che pesano – indubbiamente – sul bilancio della Capitale. Non sono tra quelli che amano scaricare sull’attuale Sindaco i mali decennali di una Capitale così difficile da gestire, ma l’idea di fare sempre di meno per evitare di spendere sempre di più si sta rivelando mortale. Chiunque abbia dimistichezza con le strade di Roma sa perfettamente in quale stato di depressione e di abbandono si trovino. La disgrazia, dovuta all’incuria – e a chissà cos’altro lo sapremo dalle indagini –, avvenuta nella notte tra venerdì e sabato all’Università La Sapienza è l’ennesimo emblema negativo di una città indolente e molle senza prospettive, tutt’altro che virtuosa e soprattutto immacolata. L’esperienza Monti avrebbe dovuto insegnare che per eccesso di rigore si può anche morire.
Non c’è solo il bilancio di una città da considerare, sebbene sia importante, ma anche il prestigio, l’immagine, la capacità di fare sistema. Roma e Torino hanno dimostrato di non saper rischiare, di non voler investire sulla propria immagine e soprattutto di non voler fare sistema. Ciò a mio avviso è ancora più grave. Lo è alla luce del grande gioco di squadra che bravi amministratori locali, di colore politico diverso, come Fontana e Sala, Zaia e Ghedina, hanno dimostrato di saper fare sotto la guida di un grande dirigente sportivo, Giovanni Malagò, e di uno “sponsor”, Giancarlo Giorgetti.