In termini strettamente numerici, la doppia crisi del 2008 e del biennio 2011-2012 è alle spalle, anche se, nel frattempo, sono emerse o si sono accentuate alcune condizioni di vulnerabilità, che si riflettono su intere categorie o su parti importanti del nostro Paese, nel mondo del lavoro. Il Rapporto annuale dell’Istat offre una fotografia dell’Italia, lunga dieci anni, che, per la parte relativa all’occupazione, presenta qualche chiaroscuro. Di positivo, vi è sicuramente il fatto che sul finire del 2018 si è raggiunto il massimo di occupati (tendenza proseguita anche nei primi mesi del 2019), ma la cosa non ha avuto una distribuzione uniforme. Se il centro-nord ha recuperato e superato il periodo pre-crisi, nel Mezzogiorno si registra ancora un saldo molto negativo, addirittura 250mila occupati in meno. Inoltre, vi è un secondo elemento di preoccupazione che investe il Meridione, vale a dire la qualità dell’occupazione: dall’Abruzzo alla Sicilia si incrementano i soli posti meno qualificati, mentre da Roma in su crescono gli occupati nelle professioni più qualificate. Un aspetto che permane è quello del part time involontario che penalizza principalmente le donne, nel presente con un reddito inferiore e nel futuro con un assegno pensionistico più basso. Crolla, infine, la quota di contratti a tempo indeterminato fra i giovani, dal 61,4% del 2008 al 52,7% del 2018, a fronte di una crescita nella fascia di età sopra ai 35 anni.