Nell’epoca d’oro dell’antica Roma, anche chi svolgeva uno dei lavori più umili poteva permettersi una dieta uguale a quella dei più ricchi. Lo rivelano alcune analisi condotte sui resti umani, animali e vegetali ritrovati nel sito dell’antico Portus Romae dagli archeologi dell’Università di Cambridge, pubblicato sulla rivista Antiquity. I resti umani trovati nell’antico porto di Roma a nord di Ostia «appartengono alla popolazione locale impegnata in pesanti lavori manuali, probabilmente facchini che scaricavano le navi in entrata», spiega la coordinatrice dello studio, Tamsin O’Connell. «Se guardiamo gli isotopi presenti negli individui vissuti tra l’inizio del II secolo fino alla metà del V, vediamo che hanno avuto una dieta piuttosto simile a quella delle classi ricche e benestanti seppellite nel cimitero di Isola Sacra», situata vicino alla foce del Tevere. «È interessante notare che nonostante le differenze di status sociale, entrambe le popolazioni avevano accesso alle stesse risorse alimentari», prosegue la ricercatrice. Dunque, secondo lo studio, gli scaricatori di porto mangiavano carne, grano, olio d’oliva, pesce e vino. La situazione non durò a lungo, però. Il sacco di Roma dei Vandali, del 455 d.C., costrinse i romani più umili a cambiare la loro dieta: tra le altre cose, l’invasione determinò un cambiamento delle rotte commerciali. I lavoratori del porto iniziarono a nutrirsi di piatti più frugali, a base di proteine vegetali, come zuppe di piselli e lenticchie.