di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

La necessità di una riforma della giustizia ritorna prepotentemente d’attualità. Non solo per le problematiche note e annose, che riguardano l’amministrazione della giustizia stessa, tempi lunghi, certezza della pena e quant’altro, da risolvere il prima possibile, ma anche a causa di quanto sta emergendo dalle inchieste sulle nomine pilotate che hanno coinvolto i vertici stessi della magistratura. Dei sedici giudici eletti nel Csm, massimo organo di autogoverno della magistratura, quattro si sono autosospesi, uno dimesso. Un terzo del totale. Numeri che chiariscono l’entità del terremoto che sta scuotendo l’istituzione, causato dalla scoperta di fatti “di estrema gravità” per usare le parole dello stesso vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, David Ermini, componente laico in quota Pd. La vicenda ruota attorno alla figura di Luca Palamara, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati ed ex consigliere del Csm, narra di incontri inopportuni fra magistrati e politici, in specie Luca Lotti e Cosimo Ferri, importanti esponenti del Pd al momento non indagati, intrecci poco chiari, scambi di denaro e favori, strategie volte a concordare chi nominare a capo di procure importanti, quella di Roma dopo il pensionamento di Pignatone e quella di Perugia, ovvero la sede preposta a giudicare i magistrati romani. Questo quanto si apprende dai giornali, mentre le indagini procedono e anche in questo caso resta doverosa la presunzione di innocenza che impone, prima di condannare sommariamente, di attendere che la giustizia faccia il suo corso. Il che non significa, però, sottovalutare o minimizzare quello che qualcuno ha definito uno scandalo assimilabile a quello della vecchia P2. Cercare di comprendere quanto accaduto e ipotizzare riforme volte a migliorare il sistema per evitare che possano verificarsi situazioni poco chiare non solo è lecito, ma è anche doveroso, data l’importanza della questione e dato il ruolo fondamentale della magistratura. Già nel contratto di governo fra Lega e M5S si parlava chiaramente della necessità di rivedere il sistema di nomina ed elezione al Csm, ben prima dell’esplosione dello scandalo. Ora la discussione è aperta e sul tavolo, oltre alla modifica di tali criteri, ci sono anche temi tutt’altro che secondari, come il ruolo delle correnti e il divieto per i magistrati che abbiano intrapreso la carriera politica di tornare a svolgere il ruolo di giudici. In attesa di un gesto, dato il clima servirebbe un intervento di peso, del Capo dello Stato e presidente del Csm, Mattarella. Rispettare la magistratura non significa porla su un piedistallo di presunta infallibilità né tantomeno considerare immutabili le regole di autogoverno, ma, invece, fare in modo di tutelarne concretamente l’indipendenza e l’imparzialità, da preservare nell’interesse di tutti.