di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl
Molti sono i dati, tra quelli economici, che danno una rappresentazione quasi vivida del deterioramento del mercato del lavoro che va di pari passo con l’impoverimento delle famiglie e viceversa. Oggi l’Istat ha pubblicato il Report Famiglie e Mercato del lavoro con esiti diversi: 1 milione 151 mila famiglie in Italia, con un’incidenza pari al 7,9%, sono senza occupati né pensionati da lavoro e quindi prive di redditi e pensioni da lavoro, fenomeno che perdura dal 2013. Nel 2018 invece ammontano a 18 milioni 823 mila le famiglie con almeno un componente occupato tra i 15 e i 64 anni (72,6% di 25 milioni 926 mila famiglie residenti in Italia). Tra queste, quelle con almeno un occupato sono 15 milioni 374 mila. L’Istat sottolinea come la partecipazione al mercato del lavoro all’interno della famiglia abbia risentito della crisi economica che, soprattutto tra il 2008 e il 2013, «ha arrestato il trend positivo degli anni precedenti e condizionato la ripresa in quelli successivi». Ma nel 2018 la quota di famiglie con almeno un occupato (81,7%) è tornata ad avvicinarsi al livello del 2008 (82,3%). Solo che il recupero dei livelli pre-crisi è avvenuto in tutte le regioni del Nord e non si è ancora realizzato nel Sud. Il volto glaciale della crisi si può osservare nei 3 milioni 198 mila persone occupate, tra i 15 e i 64 anni, che vivono sole (il 74,6% dei 4 milioni 286 mila famiglie unipersonali in età lavorativa). La crisi oggi divide non solo i territori – marcando ancora più profondamente le differenze – ma soprattutto divide le persone, mettendo a dura prova la la coesione sociale. L’incidenza dell’ultimo fenomeno è maggiore tra la componente maschile (77,6%), tra coloro che hanno meno di 35 anni (77,0%), tra i residenti al Nord (80,6%) e tra chi ha la cittadinanza straniera (80,1%). Le persone sole disoccupate o potenziali forze di lavoro sono 542mila, pari al 12,6%. Nel 2018 le famiglie con due o più persone e un solo occupato ammontano a 5 milioni 697 mila. I dati, pur con qualche accezione positiva, manifestano tutte le ferite inferte dalla crisi prima finanziaria e poi economica in cui più di dieci anni fa il Paese è caduto e dimostrano, senza il bisogno di ulteriori commenti, perché gli italiani hanno votato partiti e movimenti che potessero assicurare una discontinuità non solo ideologica con il passato. Nel momento in cui sto scrivendo, i dati dell’Istat non hanno ancora generato “tra gli addetti ai lavori” il dibattito che meriterebbero o lo stesso dibattito che, puntualmente, si crea di fronte ai conti pubblici, allo spread, a quegli specchietti per le allodole che servono a spostare l’attenzione da ciò che veramente conta. E ciò che veramente conta è la condizione in cui versano tutte le società occidentali, le famiglie, le persone, il cosiddetto ceto medio. Ho scritto il mio primo libro, Populeconomy, per lanciare un messaggio: vogliamo crescere? Allora rimettiamo al centro del sistema le persone, non le élites.