di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl
Oggi ricorre il ventisettesimo anniversario della strage di Capaci, quando, il 23 maggio 1992, alle porte di Palermo venne ucciso dalla mafia Giovanni Falcone, insieme alla moglie Francesca Morvillo e a tre uomini della sua scorta: Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, e Vito Schifani. Una giornata che rimarrà impressa nella storia del nostro Paese. In questa data ricordiamo la tragica morte di uno dei più illustri eroi italiani del dopoguerra, il giudice in prima linea nella lotta contro la criminalità organizzata, colui che, assieme ai suoi colleghi, riuscì a penetrare nei segreti di “cosa nostra” grazie a metodi investigativi innovativi e contribuendo ad ideare nuove formule organizzative, come la Procura nazionale e le Direzioni distrettuali antimafia, allo stesso tempo investendo molto anche sull’aspetto culturale, sulla nascita e sulla crescita di una diffusa coscienza civile, riuscendo così ad infliggere dei duri colpi al sistema di potere mafioso. Purtroppo la mafia non è ancora sconfitta, non ancora sradicata dal tessuto sociale ed economico. È ancora forte e c’è ancora molto, moltissimo da fare. Anche sulla stessa strage di Capaci e su quella successiva di Via d’Amelio, che colpì l’amico e collega Paolo Borsellino, persistono molte ombre, che riguardano i lati più oscuri delle connessioni fra la criminalità organizzata ed alcuni elementi deviati delle istituzioni. Proprio per questo è importante mantenere alta la guardia, sostenere le iniziative dello Stato, delle forze dell’ordine, della magistratura e della politica, finalizzate a combattere e sconfiggere la mafia. Eppure la commemorazione ufficiale in ricordo di Falcone è avvenuta in un clima teso e polemico, segno che anche su un tema come questo, che dovrebbe unire tutte le persone di buona volontà, c’è divisione. Oggi nell’Aula bunker dell’Ucciardone di Palermo, dove si è tenuta la cerimonia istituzionale in ricordo del giudice alla presenza di molte autorità come il presidente della Camera Fico, il presidente del Consiglio Conte, ministri e magistrati, si notavano alcune assenze. Il presidente della commissione Antimafia della Sicilia Fava e il governatore della Regione Musumeci, anche se quest’ultimo per motivi diversi, a causa di “troppo veleno” ha dichiarato, hanno deciso di non partecipare. Il sindaco di Palermo, Orlando, ha accolto il premier e poi è andato via. La presenza a quanto pare non gradita era quella del vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini. Un atteggiamento inedito, che va oltre il normale scontro politico e che lascia francamente esterrefatti. In alcuni momenti bisognerebbe mettere da parte le divergenze di opinione, non per un formale senso di opportunità, ma per testimoniare un valore fondamentale: quello dell’unità dello Stato, di tutte le sue componenti istituzionali e politiche, contro la mafia.