Il discrimine rimane sempre la carriera lavorativa: se è costante e progressiva nel tempo, alla fine la pensione è quanto meno dignitosa; se, viceversa, la stessa è scostante e non regolare, allora sono grossi problemi. È chiaro da tempo che la questione pensione dei giovani è un tema scottante. Lo è almeno da quando si è passati dal sistema retributivo al contributivo, con la successiva aggravante dell’estendersi della precarietà, con la liberalizzazione di alcune forme contrattuali flessibili. Sul tema della pensione dei giovani, l’ultimo ad intervenire è stato il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, che ha parlato davanti alla commissione lavoro della Camera dei deputati. Secondo il neo numero uno dell’Istituto, un giovane che inizia a lavorare prima dei trent’anni, fra i 27 e i 28 anni, con uno stipendio medio di circa 1.500 euro, all’atto del pensionamento a settant’anni, avrà una pensione di 1.500 euro. La condizione necessaria è che la carriera professionale sia stabile, cosa non semplice negli ultimi tempi. In valori nominali, non ci sarebbe differenze, quindi, anche se il gap in termini reali esiste. Considerando l’impatto dell’inflazione, infatti, in termini di potere d’acquisto, l’assegno pensionistico è più basso dell’ultimo stipendio. Il tasso di sostituzione, secondo stime prodotte in passato, potrebbe attestarsi fra il 50 e il 60%, mentre ora è intorno al 70% e con il retributivo saliva all’80%.