di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Il 25 aprile resta un giorno divisivo. A settantaquattro anni dall’insurrezione di Milano, questa giornata, assurta a simbolo della fine del Fascismo in Italia, continua a non essere una giornata di festa per tutti. Innanzitutto perché è una ricorrenza particolare, checché ne dica la vulgata del politicamente corretto. È vero, celebra la fine del della dittatura e degli orrori della guerra, ma è altrettanto vero che ricorda quella che fu e resta una sconfitta per il nostro Paese, liberato non certo dai pochi partigiani italiani, ma dalle potenze alleate che sconfissero militarmente non solo il regime, ma, di fatto, anche l’Italia. In secondo luogo, nel corso degli anni la divisività della festa è stata ulteriormente accentuata dal fatto che ne hanno “preso possesso” le forze politiche della sinistra, che pure rappresentarono solo una parte del mondo antifascista, escludendo o minimizzando già dai tempi della Prima Repubblica “democristiana” persino il ruolo del mondo liberale e cattolico. Questi fatti, comunque, appartengono o dovrebbero ormai appartenere al dibattito storico e non più a quello politico, dopo tanto tempo dalla fine del regime e della guerra e dopo più di settant’anni di una democrazia che ormai si è radicata nel sentire di tutta la cittadinanza. Eppure ogni anno si infiammano le polemiche e dalle celebrazioni alcuni sono esclusi ed altri decidono di non partecipare. Perché la data del 25 aprile non riesce ancora, e forse mai riuscirà ad essere, la festa di tutti gli italiani? Andando oltre il passato, ancora oggi e dopo tanto tempo la ragione di questa divisività della festa sta nel fatto che è stata trasformata nella celebrazione non della fine della dittatura o del conflitto mondiale, tantomeno della fine della guerra civile, che dopo quella data continuò ancora per anni, ma nella giornata della presunta “superiorità morale della sinistra”, presunta, perché – come tutte le ideologie – quando trasformata in regime ha dato luogo a progressi politici e sociali, ma anche a violenze, atrocità e sopraffazioni, lontane per noi solo perché in Italia non è mai riuscita a conquistare il potere. Una presunta superiorità che come conseguenza porta ad una presunta “inferiorità morale della destra”, non solo di quella antica legata al Ventennio, ma di qualunque forma di destra si sia affacciata sullo scenario politico negli ultimi 70 anni. Un pregiudizio in base al quale, ancora oggi, dichiararsi di destra risulta difficile e controproducente in ogni ambito, politico, sociale e lavorativo. Finché non si faranno i conti con tutta la nostra storia, finché non si condanneranno tutte le violenze da un lato e si accetteranno dall’altro tutte le visioni politiche democratiche, di sinistra come di destra, dando loro il diritto di esprimersi ed agire senza stigmi, questa non sarà mai la festa di tutti.