di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl
Il caos Brexit si arricchisce di colpi di scena e l’unica certezza è che al momento i cittadini del Regno Unito restano, volenti o nolenti, nell’Ue. Ieri c’è stata l’ennesima svolta nella sempre più ingarbugliata vicenda: al Parlamento britannico è passata, per un solo voto, una legge che impedisce il “no deal”. In base a questo provvedimento bipartisan, il Regno Unito non può lasciare l’Europa senza un accordo e, dato che l’accordo al momento non c’è, ciò significa di fatto un ulteriore “remain”. Gli inglesi dicono di volere un altro breve rinvio, mentre l’Europa, come lasciato intendere da Juncker, chiede un’uscita immediata, con l’approvazione dell’accordo May entro il 12 aprile o col “no deal”, oppure un posticipo, però lungo, di almeno 9 mesi, con, a sostegno un “valido motivo” come elezioni anticipate o anche l’ipotesi di un secondo referendum. Ora si apriranno le trattative con Bruxelles per stabilire di che durata sarà la proroga e un nuovo vertice straordinario è previsto per mercoledì prossimo. Il tutto con le europee alle porte. Il tempo stringe e si dovrà prendere una decisione chiara e definitiva almeno in merito alla partecipazione o meno alla competizione elettorale e all’ingresso dei 72 rappresentanti britannici nel nuovo Europarlamento. La May ce la sta mettendo tutta per arrivare alla Brexit, come chiesto dal popolo con il referendum di ormai 3 anni fa, e, dopo le diverse e sonore bocciature all’accordo da lei proposto, ora si dichiara pronta anche a rivolgersi al leader dell’opposizione Corbyn per redigere un nuovo e condiviso piano di uscita. La palla passa quindi ai laburisti. Difficile dire come andrà a finire. L’impressione tuttavia è che non si possa ammettere una verità tanto evidente quanto imbarazzante: la maggioranza della classe dirigente britannica – di entrambi gli schieramenti, a torto o a ragione – non vuole uscire dall’Unione europea, come dimostra il susseguirsi di voti che hanno bloccato un accordo sicuramente non perfetto, ma, comunque, fatto. In contrasto con la volontà popolare emersa col referendum, seppure non vincolante, seppure oggi forse dall’esito diverso, espressasi chiaramente per il “leave”. Se un nuovo referendum sconfesserebbe il ruolo della sovranità popolare e una hard Brexit potrebbe essere disastrosa per l’economia di entrambe le parti, resta sullo sfondo l’ipotesi di una soft Brexit, con l’uscita del Regno Unito dalle istituzioni europee ma non dal mercato unico e dalla libera circolazione delle persone. La vicenda Brexit, comunque si concluderà, rappresenta il massimo esempio del sempre più ampio distacco fra popolo ed élite nel primo mondo globalizzato e lascerà un segno profondo, che non inciderà solo sul futuro politico ed economico dell’Europa, ma anche sulle stesse basi ideologiche a fondamento della democrazia rappresentativa occidentale.