di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl
La situazione ricorda un po’ una vecchia canzone: l’Esecutivo, nonostante abbia incontrato diverse difficoltà sia esterne che interne, anche piuttosto importanti, a più o meno un anno dalle elezioni “tsunami” del 4 marzo del 2018, continua a tenere, come la “torre di Pisa, che pende, che pende e mai non vien giù”. Dopo l’iniziale empasse su Savona non è servito l’ostracismo dell’Unione europea, non sono state sufficienti le oscillazioni dello spread, non sono bastate le trattative serrate per l’ok alla Legge di bilancio, non è andato a buon fine il caso giudiziario relativo alla vicenda Diciotti ed ora non ha spaccato la maggioranza neanche la questione Tav. Alla fine, con la mediazione del Presidente Conte, le posizioni di Lega e M5S, che parevano inconciliabili, in merito al prosieguo o meno della linea ad alta velocità Torino Lione, sono state infine composte e si è trovata una soluzione, in grado per il momento di mettere tutti d’accordo. Certo, non si può dire che la vicenda sia risolta, ma si è riusciti a individuare modi e tempi capaci di consentire ulteriori confronti e nel frattempo esorcizzare la crisi di governo. Adesso, un po’ come i millenaristi, che ad ogni previsione sbagliata spostano in avanti la data della fine del mondo, molti aspettano le elezioni europee nella speranza di decretare lo stop all’esperimento populista. Non sappiamo certo come finiranno le cose: è innegabile la presenza di molte differenze di vedute, su temi rilevantissimi e non certo trascurabili, fra i due movimenti che compongono la squadra di Governo. Eppure, a costo di vederci smentiti dai fatti, a differenza dei molti che insistono sulla breve durata dell’esperienza gialloblu, crediamo che le continue rassicurazioni dei due leader, Salvini e Di Maio, che ad ogni piè sospinto, anche di fronte a evidenti turbolenze, continuano a garantire che il Governo durerà 5 anni, non siano frutto di strategie comunicative, ma di intenzioni reali. Qualcosa è accaduto, l’anno scorso, ed ormai non si può tornare indietro. Se in futuro tornerà un bipolarismo, ed è molto probabile che accada perché esistono visioni contrapposte su molti temi, da quelli etici a quelli economici, sarà un bipolarismo nuovo. Non solo perché l’elettorato ha dimostrato di volere volti freschi e di provare sfiducia verso alcune formazioni ormai percepite come non più affidabili, ma anche e soprattutto perché sembra al tramonto l’era del neoliberismo. La nuova cornice valoriale di riferimento, entro la quale dispiegare le contrapposizioni, pare essere più improntata sulla difesa della sovranità nazionale e sull’inclusione sociale. E lo dimostra anche il cambio al vertice nel Pd, forse tardivo, probabilmente solo di facciata, ma che prova a ricollocare, prima che sia tardi, anche quel partito in questo filone emergente.