Pil vs occupazione

Sotto il profilo strettamente numerico, i dieci anni di crisi sono passati con riferimento al tasso di occupazione e all’ammontare complessivo di occupati. Neanche il rallentamento dell’economia, infatti, ha finora inciso sull’occupazione, cosa che accomuna il nostro Paese al resto d’Europa, dove, a fronte di un generico e diffuso calo del prodotto interno lordo, la componente lavoro continua comunque a crescere. Certo, in un caso e nell’altro, si parla sempre di decimali, però il dato è questo. Ad ufficializzare il tutto, il rapporto sul mercato del lavoro 2018, verso una lettura integrata, realizzato a cinque mani da Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Istat, Inps, Inail ed Anpal. Nella media dell’anno appena concluso – che ha toccato il suo punto più alto nel secondo trimestre, per poi scendere, salvo poi recuperare nel quarto trimestre – si parla di 125 mila occupati in più rispetto al 2008, l’inizio della prima crisi che ha investito le economie mondiali. Il tasso di occupazione è poco sotto i massimi, con il 58,5%, mentre la disoccupazione ancora morde forte, attestandosi al 10,6%, 3,9 punti percentuali in più rispetto al 2008. L’Italia, comunque, rimane ancora molto indietro nel confronto con l’Unione europea. Servirebbero circa 3,8 milioni di occupati per raggiungere la media Ue 15.

 

Il testa-coda

Un fenomeno molto interessante si registra in questi dieci anni: la crescita degli occupati a fronte di una riduzione della quantità complessiva di lavoro svolto. Tecnicamente, si parla di crescita occupazionale a bassa intensità lavorativa; nei fatti, siamo davanti ad un processo difficile da interpretare, in quanto generato da due fattori per molti versi opposti. Da una parte la crisi economica, che ha spinto molte aziende a ridurre la produzione; dall’altra l’introduzione di nuove tecnologie, oggi catalogate nel grande contenitore di Industria 4.0, le quali richiedono un minore impatto di manodopera nei settori tradizionali della manifattura, ma che, allo stesso tempo, alimentano l’universo dei lavoretti della gig-economy. Stando così le cose, ciò che non è immediatamente chiaro è se tale processo è la coda della crisi del 2008 e degli anni seguenti – il Pil nazionale è ancora 3,8 punti percentuali inferiore a quello del 2008, mentre le ore lavorate sono indietro del 5,1% – o, piuttosto, la testa di un nuovo processo, connesso ai cambiamenti in atto nel tessuto produttivo con una crescita esponenziale dei servizi e di una forte polarizzazione nelle professioni: cresce la richiesta di persone qualificate, ma anche aumentano gli occupati con bassa qualificazione e senza o ridotta scolarizzazione.