di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Le elezioni regionali sarde rappresentano un altro importante momento di verifica in merito al gradimento dei partiti politici di maggioranza e di opposizione. Pur essendo, come tutte le votazioni amministrative, profondamente diverse rispetto alle politiche, riflettono, comunque, anche se in modo in parte alterato dalle peculiarità locali, le tendenze generali. Nonostante la lentezza – francamente eccessiva – dello spoglio, emerge il successo di Solinas, che con tutta probabilità dovrebbe essere il nuovo Presidente della Regione Sardegna, e dell’intero centrodestra, considerato dagli elettori la compagine più affidabile nell’amministrare i territori. Poi, il consenso che Matteo Salvini è riuscito a catalizzare attorno alla Lega, che guadagna il primo governatore al Sud. Altro elemento evidente è la difficoltà del M5S, che a livello locale continua a soffrire per la sua stessa natura di “partito dei cittadini comuni” esprimendo candidati deboli e che paga il passaggio, tutt’altro che privo di scivoloni e problematicità, da movimento di protesta in partito di Governo. La sinistra – che un tempo spadroneggiava a livello locale – tenta di riprendersi dal declino cercando candidati più “presentabili” e allargando la propria coalizione ad estese pletore di liste civiche, ammortizzando così i danni. Questa la situazione, non molto diversa rispetto a quella vista in Abruzzo pochi giorni fa. I commentatori, oltre a registrare questi fatti, piuttosto palesi, nell’analisi del dato sembrano però fermarsi a poco più che tifo da stadio. Il sogno, neanche troppo dissimulato, è quello di veder cadere il Governo. Chi dovrebbe poi sostituirlo, quasi non fa differenza, purché si stacchi la spina all’esperimento gialloblu. Comunque la si pensi su questo Esecutivo, quello che accadrà alla fine di questa inedita esperienza politica non sarà, comunque, un salto nel passato: indietro non si torna. Gli italiani hanno ormai abbandonato non tanto i singoli partiti tradizionali, quanto proprio lo stesso concetto di “fidelizzazione” a un movimento da votare a scatola chiusa. Una volta c’erano steccati che non si saltavano, ognuno faceva una scelta – destra, sinistra o centro – e, ad ogni occasione, votava di conseguenza. Ora quegli steccati si sono rotti e i cittadini sono disposti a cambiare sulla base delle proposte e anche e soprattutto della loro effettiva attuazione. Lo “zoccolo duro”, i fedelissimi qualunque cosa accada – in tutti i partiti, nessuno escluso – sono sempre più marginali. Si cambia e si è disposti a cambiare, questo è il più interessante fra i dati che emergono dalle ultime tornate elettorali. Il consenso è fluido, mobile, da conquistare quotidianamente, non solo con le parole, ma con i fatti. Un monito per tutti e forse anche un segno – checché se ne dica – di maggiore maturità politica degli italiani.