di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Un conto è l’imparzialità, un altro l’infallibilità. Lo ha ammesso oggi dai microfoni di Radio24 Fabrizio Saccomani, attuale presidente di Unicredit, ex ministro dell’Economia e per un brevissimo lasso di tempo direttore generale di Bankitalia: «Una protezione totale che eviti qualsiasi rischio per i risparmiatori non esiste in nessuna parte del mondo. Ed è bene ricordalo sempre».
Questo è esattamente il punto. Nell’ultima polemica che si è aperta tra il Governo e i difensori d’ufficio dei vertici di oggi, ma si potrebbe dire anche di sempre, della Banca d’Italia il punto dirimente sta, a mio parere, nel non confondere l’imparzialità con l’infallibilità. Volendo ridurre all’essenziale la questione, per non perderci nei mille rivoli della vicenda, nata perché è in scadenza la carica del vice direttore generale di Bankitalia, Luigi Federico Signorini, i due partiti che hanno dato vita al Governo Conte sostengono, con sfumature diverse, il loro diritto di potersi esprimere sul rinnovo dei vertici della nostra Banca centrale. Non più quella di una volta, in effetti.
«Ci è consentito dalla legge e lo faremo senza paura di toccare qualche potere forte», ha affermato in un post il M5s. Più incline invece il vice premier Matteo Salvini ad affidarsi, nella scelta del nuovo vice direttore generale, alla «competenza» del premier e del ministro dell’Economia, ma puntualizzando che sia «qualcosa» e «non qualcuno» a dover cambiare e che «indipendenza non può far rima con irresponsabilità». Non è del tutto fuori dalla realtà sostenere come fa il M5s che «chi ha partecipato alla vigilanza degli ultimi anni, la più fallimentare della nostra storia, non può rimanere al suo posto come se nulla fosse successo». L’attuale Governo in effetti si trova oggi impegnato a tamponare gli effetti delle ultime disavventure bancarie del nostro Paese. Ammesso e non concesso che le responsabilità dei fallimenti degli Istituti non saranno tutte da attribuire alla Banca d’Italia, è ancora più indubbio che a pagare per quegli errori, e senza averne la responsabilità o avendone una minima, sono stati già i risparmiatori, l’ultimo anello della catena.
I difensori di ufficio, quelli che si stracciano sempre le vesti appena qualcuno – e ce ne sono stati di illustri esempi nella storia della Repubblica italiana – osa toccare il “Sancta Sanctorum” della vigilanza bancaria, brandiscono come una lancia la seguente argomentazione ovvero che con l’indicare i nomi per l’avvicendamento dei vertici, i partiti vanno a intaccarne l’indipendenza necessaria e garantita dalle normative nazionali ed europee nonché dal suo assetto funzionale.
L’indipendenza e la trasparenza, ne sono convinto anche io, esistono a garanzia del buon funzionamento di qualsiasi soggetto deputato a vigilare. Tuttavia, scandalo bancario dopo scandalo bancario, senza un’imputazione di responsabilità nei confronti dell’organo di vigilanza (e senza fare nomi), l’imparzialità finirà per sconfinare nell’infallibilità, dogma di cui non gode più in certi casi neanche la più alta autorità religiosa della Chiesa cattolica.