di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Si svegliano sempre troppo tardi e anche, verrebbe da dire, dal verso sbagliato. Dal consueto sondaggio di Ilvo Diamati pubblicato dal quotidiano la Repubblica e intitolato Una democrazia dei leader e non dei partiti emerge quanto segue: con le due affermazioni – forse un po’ strumentali – “Il Paese ha bisogno di essere guidato da un leader forte” si è trovato d’accordo il 58% degli intervistati e con “I leader forti sono un pericolo per la democrazia” si è trovato d’accordo il 32%, mentre il 10% non sa. La lettura di tale risposta è la seguente «La “democrazia dei partiti” si è trasformata in “democrazia dei leader”. Anzitutto perché i partiti si sono “personalizzati”. Soprattutto a partire dagli anni Novanta, dopo il crollo della Prima Repubblica», assegnando all’allora imprenditore Silvio Berlusconi il merito (o il demerito) di averla segnata con la sua discesa in campo. «Ormai – scrive ancora Diamanti – soltanto l’8% esprime fiducia nelle formazioni partitiche. 4 su 10 pensano che la democrazia possa funzionare anche senza di loro». Possiamo essere d’accordo ma fino ad un certo punto. La svolta, segnata senza ombra di dubbio negli anni Novanta dal cavaliere Silvio Berlusconi e alla quale il mondo della destra, fino ad allora tenuto ai margini del dibattito nazionale, guardò con grande attenzione, fu accompagnata a mio avviso anche da altri fattori e segnatamente dagli errori di quei partiti, in primis Dc e Pci, che avevano monopolizzato chi dal Governo e chi dall’opposizione la Repubblica e la democrazia nata e cresciuta a fatica e con copiose perdite di sangue, di stragi e di misteri tutti ancora irrisolti, fino ad arrivare alla stagione di Mani Pulite che squarciò il grande velo delle ipocrisie sulla corruzione imperante. Non considerare la centralità anche di tali aspetti nella disaffezione degli italiani verso i partiti costituirebbe un grande errore nella lettura della realtà, come da diverso tempo continua e probabilmente continuerà a fare la sinistra, e quindi nelle opportune soluzioni. Senza i partiti non avrebbero potuto avere voce le minoranze di un tempo e senza l’esistenza di partiti “non allineati” al pensiero comune oggi non avremmo un Governo dal paradigma politico assolutamente insolito che tutto il mondo sta osservando con grande attenzione. I cittadini sanno anche questo e sanno che un leader forte è necessario per cambiare un Paese incagliato da decenni non solo in vecchi schemi politici e in vecchie trite e ritrite battaglie, si pensi ad esempio alla questione migranti, ma anche in problemi che solo in Italia appaiono irrisolvibili mentre in altri Paesi europei, non di chissà quale lontana galassia, non sono mai stati tali.
Il sondaggio, più che fornire una chiave di lettura, sembra alimentare quelle paure che la sinistra sta utilizzando per demonizzare l’attuale governo, visto che secondo lo stesso sono rispettivamente l’83% e il 63% degli elettori della Lega e del M5S a volere un leader forte, mentre solo il 40% degli elettori del Pd (mica pochi) a essere d’accordo con questa affermazione. Ma intanto i problemi da risolvere restano e solo un leader, non di certo debole, sarà, anzi è già costretto, a risolverli.