di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

C’era una volta il sindacato rosso che si batteva contro il padrone delle ferriere. C’era una volta, ma ora non c’è più, perché nel frattempo è cambiato tutto: è cambiato il sindacato, sono cambiati i padroni e infine sono cambiate anche le ferriere. Il mondo del lavoro si è globalizzato, informatizzato, terziarizzato. L’economia è sempre più finanziaria e del vecchio capitalismo nazionale, grande o piccolo, pubblico o privato, è rimasto – purtroppo – ben poco. La sinistra, politica e sindacale, ha partecipato a queste trasformazioni abbracciando la globalizzazione in modo acritico. Confondendo il vecchio internazionalismo proletario con quello delle holding che muovono denaro, merci, persone. Due cose, invece, diversissime. Il “popolo”, ovvero la maggioranza della popolazione, quel 90% che guadagna quanto il restante 5%, composto da lavoratori dipendenti, precari, pensionati – ma anche commercianti, artigiani e piccole imprese, quelli trattati da “padroni” quando sono essenzialmente classe lavoratrice – schiacciato dalla concorrenza estera, dai mercati mondiali retti da regole lassiste o sfavorevoli, non ha perdonato alla sinistra il modernismo globalista e si è rivolta altrove, non solo da noi, ma un po’ ovunque, preferendo chi parla di frontiere, sovranità e cittadinanza. Insomma chi ha intenzione di proteggerlo. Ora che la frittata, per la sinistra, sembrerebbe fatta, ecco l’idea “geniale”: tornare al passato. Rispolverare parole d’ordine antiche, ma fuori tempo massimo. In questo filone si colloca il cambio ai vertici in Cgil. Landini, che fu l’uomo del “niet” in Fiat, sconfessato poi dai fatti, all’epoca avversario della Camusso, ora diventa nuovo Segretario Generale di quella che è ancora, pur se in calo di iscritti, la maggiore Confederazione italiana. Un’operazione nostalgia dopo anni di convinto riformismo, con l’idea di incarnare un’opposizione più “di sinistra” al governo populista. Ma senza fare i conti con il mondo nuovo: se Salvini si oppone alle migrazioni incontrollate e quindi a quello che Fusaro considera il “nuovo esercito industriale di riserva” che abbassa costo e diritti del lavoro per tutti, la Cgil non continua a dire che “porti aperti”, senza addentrarsi neanche nella questione scabrosa del neocolonialismo, una delle cause della stessa necessità di emigrare, affrontata con un certo coraggio dal Governo. Se i grillini si cimentano con la questione della crisi strutturale del lavoro nel mondo postmoderno, creata da informatizzazione e terziarizzazione, provando a realizzare uno strumento base – pur migliorabile – di inclusione come il reddito di cittadinanza, loro nicchiano e rimpiangono il Rei, quello sì assistenzialista e del tutto privo di politiche attive del lavoro. Il rosso continua ad essere più che il colore del sol dell’avvenire, quello di un inesorabile tramonto.