di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Negli scorsi giorni sono state rese note due indagini statistiche che sintetizzano il malessere della popolazione italiana, in emergenza a causa delle politiche economiche e sociali degli ultimi anni. La prima riguarda la crescita della diseguaglianza. I recenti risultati dell’indagine Oxfam lo confermano: in Italia – ma è una tendenza globale – il 5% più ricco della popolazione da solo possiede la stessa quota di patrimonio del restante 90%. Una situazione che non è degna di un Paese moderno, che dovrebbe essere caratterizzato da un benessere diffuso e da una solida classe media. La seconda statistica, dell’Istat, riguarda, invece, il mondo dell’istruzione e rileva che c’è un aumento della dispersione scolastica: nel 2017 il 14% dei giovani tra i 18-24 anni è uscito dal sistema d’istruzione e formazione, in crescita rispetto all’anno precedente, quando i ragazzi che decidevano di abbandonare gli studi erano il 13,8%. Una variazione minima, ma il dato è in aumento, per la prima volta in dieci anni. Pochi anche i ragazzi che decidono di fare l’Università, sempre meno, e già l’Italia è in coda alle classifiche per numero di laureati. Queste due rilevazioni, apparentemente concernenti ambiti diversi, sono legate, ad una più attenta analisi, da un filo conduttore. Ovvero l’assenza di mobilità sociale e meritocrazia e la conseguente perdita di fiducia nel futuro. In sintesi: la gran parte della popolazione è sempre più povera, è difficilissimo entrare a far parte di quel ristretto gruppo che detiene il benessere, spesso formato da vere e proprie “caste” impermeabili, allora perché impegnarsi, perché studiare? Ecco svelato il motivo di una sempre maggiore disaffezione allo studio. Un ragionamento semplice, che mette insieme i pezzi del mosaico, ma che getta un ombra di sconforto. Dobbiamo offrire qualcosa in più ai nostri giovani, affinché tornino a sperare e quindi ad impegnarsi nello studio e nella formazione. Abbiamo bisogno di nuove generazioni preparate, di forza lavoro qualificata per vincere le sfide del futuro, ma abbiamo anche necessità di un sistema produttivo innovativo e meritocratico che sappia poi avvalersi di tali energie, per non indurre i ragazzi a emigrare per vedersi realizzati professionalmente ed umanamente. Le statistiche di cui sopra sono relative all’anno che si è appena concluso. Negli ultimi mesi, ed in particolare dalla formazione del nuovo governo ad oggi, però, fortunatamente, alcune cose sono cambiate. Sono state messe in campo politiche economiche e sociali nuove, proprio perché quelle passate hanno prodotto risultati negativi. Politiche attive del lavoro, redistributive del reddito, di sblocco del turnover generazionale – si pensi ai posti che nasceranno per effetto di quota 100 – per ridare slancio al Paese e, ci si augura, fiducia ai nostri giovani e minore diseguaglianza.