di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Non è la solita, trita e ritrita, metafora del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: l’Italia inserita tra i maggiori rischi mondiali, insieme alla Brexit e allo scontro sui dazi tra Usa e Cina, dal Fondo Monetario Internazionale in occasione dell’apertura delle tre giornate del World Economic Forum a Davos non può che essere una notizia di importanza epocale e, mi azzarderei a dire, positiva. A meno che non si voglia affermare che i rapporti e le previsioni del FMI siano in questo particolare caso – ma allora perché non anche per i precedenti? – una colossale balla.
L’Italia, nonostante la sua prolungata crisi e la sua decennale incapacità di crescere, è in effetti la terza, per alcuni anche la seconda, economia d’Europa. Ha circa 60 milioni di abitanti e una ricchezza in termini di tessuto industriale, culturale, di risorse naturali e di creatività/potenzialità che altri Paesi, altrettanto importanti, non riuscirebbero a eguagliare. Certo, non si può dire che il nostro mercato finanziario sia così vasto e influente, come lo è ad esempio quello di Londra o di Parigi, ma a quanto pare è comunque capace di rappresentare un rischio di livello mondiale, se preoccupa così tanto l’andamento del nostro spread, quindi dei nostri buoni decennali del Tesoro (Btp), pur non essendo riferimento o un parametro, come lo è il Bund tedesco, per misurare la stabilità economica di un Paese.
Ma tant’è: «In Europa – ha detto il direttore della ricerca del Fmi Gita Gopinath presentando il rapporto – continua la suspence su Brexit e il costoso intreccio fra rischi sovrani e rischi finanziari in Italia rimane una minaccia». La “difesa d’ufficio” del vice premier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, e quella del ministro dell’Economia, Giovanni Tria, sono state assolutamente esemplari e degne, finalmente, di un Paese diventato consapevole – e lo sarà sempre di più – della sua importanza e del suo ruolo dentro e fuori dall’Europa. Il primo sostenendo che «piuttosto è il Fmi ad essere una minaccia per l’economia mondiale», con le sue «previsioni errate, pochi successi e molti disastri». Il secondo, rincarando la dose: «Non credo che l’Italia sia un rischio né per l’Ue né globale», in realtà il rischio viene dalle «politiche consigliate dal Fmi».
Allora chi ha ragione? Che cosa sta succedendo all’Fmi e a Davos? Sicuramente pesa moltissimo, in primo luogo, l’assenza di potenze economiche e mondiali, in primis gli Usa e poi anche la Gran Bretagna e la Francia. Così come altrettanto pesa sulla vita e sui drammi di molta gente, soprattutto in Occidente, la devastazione portata dalla Globalizzazione che a Davos, invece di una seria e concreta autocritica e conseguente retromarcia, si vorrebbe aggiornare alla versione 4.0, camuffando questo “perverso” programma con obiettivi vaghi quanto suggestivi descritti nei termini più rassicuranti del momento: dialogo, globalizzazione «responsabile» e «sensibile», «coordinamento internazionale», «cooperazione multilaterale», «sfide globali», crescita «inclusiva» e «sostenibile».
Se per coprire le grandi assenze e per mascherare agli occhi della pubblica opinione e del ceto medio occidentale, sempre più in rivolta, gli obiettivi della «Globalizzazione 4.0», si usa l’Italia come spauracchio e rischio mondiale, ciò che si può dedurre è esattamente ciò che si può leggere tra le righe di un simile allarme: l’Italia è a tutti gli effetti una superpotenza mondiale.