di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Quella di oggi non è una data qualsiasi. Ricorre, infatti, il quarantunesimo anniversario della strage di Acca Larenzia, avvenuta il 7 gennaio del 1978, giorno in cui furono assassinati prima Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, in un agguato a sfondo politico da parte, in base alla rivendicazione, di militanti di estrema sinistra, e poi Stefano Recchioni, che nella manifestazione spontanea di protesta nata a seguito del pluriomicidio, rimase vittima di colpi sparati ad altezza d’uomo. L’anno seguente, il 10 gennaio 1979, nella prima commemorazione della strage, cadde poi Alberto Giaquinto, colpito da un poliziotto in borghese. Quattro ragazzi giovanissimi, il maggiore non aveva all’epoca che vent’anni, uccisi in quanto militanti del Movimento Sociale Italiano, nel clima di odio dei cosiddetti anni di piombo. Tutti accomunati oltre che dalla fede politica e dal tragico destino, anche dal non aver avuto, ancora, né verità né giustizia. Gli assassini, assieme ai loro complici e mandanti, sono rimasti, infatti, impuniti. Mai individuato il commando terrorista, mai neanche gli agenti coinvolti; furono indagate alcune persone, fra cui il carabiniere Eduardo Sivori, accusato da diversi testimoni di essere il colpevole dell’assassinio di Stefano Recchioni, ma tutti furono poi prosciolti, altri, come l’omicida di Giaquinto, condannati a pene irrisorie rispetto ai reati compiuti, in un intollerabile clima di omertà e depistaggio, basti pensare alla strana storia relativa all’arma dei primi due delitti, la tristemente nota Skorpion Cz 61. Una strage che – anche perché rimasta impunita – ha portato dietro di sé una lunga scia di morte e disperazione: il suicidio del padre di Ciavatta e quello, misterioso, in carcere, di uno degli indagati, Mario Scrocca, un militante di Lotta Continua. I fatti di Acca Larenzia contribuirono, poi, ad esacerbare ulteriormente l’odio ideologico, alimentando la violenza politica e la lotta armata, causando altri lutti. Per il numero di vittime e per l’assenza di giustizia, questa strage è diventata il simbolo degli anni di piombo visti da “destra”, di tutti gli omicidi politici, moltissimi, ai danni di giovani missini o di altre formazioni extraparlamentari, per i quali nessuno ha pagato, in un’epoca nella quale un’intera area politica era ghettizzata e marginalizzata, in un periodo in cui i molti fatti di sangue che funestarono il Paese restarono avvolti nel mistero e nell’impunità. Oggi è nostro dovere ricordare quanto avvenuto. Non solo per il sentimento di fratellanza che impone a chiunque si consideri “di destra” di commemorare i giovani uccisi, ma anche per il senso, forse ancora più importante, di giustizia, che dovrebbe portare ogni cittadino, qualunque sia la sua opinione politica, a chiedere ed a pretendere, finalmente, verità e giustizia.