di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

L’intervista dal tono grave e decisamente preoccupato del Corriere della Sera di oggi al presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, sull’anno che verrà, sulle aspettative delle imprese, intitolata «Il lavoro è l’emergenza dimenticata», contiene sia una verità sia una serie di contraddizioni.
La verità condivisibile ovviamente è «il lavoro è l’emergenza», la (prima) contraddizione è che il lavoro, leva fondamentale per risollevare le sorti del Pese, di un intero ceto medio impoverito e di un esercito di poveri, sia stato «dimenticato» dal Governo. Affermarlo a manovra appena varata, con tutto quello che ha comportato in termini di dibattito nazionale, duro e sfibrante (anche per le Borse), con le parti sociali convocate a Palazzo Chigi nella Sala Verde (da quanto tempo non avveniva?), con il lungo e sapiente braccio di ferro portato avanti con l’Europa per evitare che le norme lì contenute finissero sotto la mannaia e le procedure di infrazione dei Commissari Ue, è scorretto. L’Ugl si può considerare una delle poche voci fuori dal coro, ed è giusto, oltre che onesto, riaffermarlo nel passare al vaglio il pensiero delle grandi imprese. Se si afferma – come fa il presidente Boccia – che «è una manovra economica cosiddetta espansiva ma che in questo scenario (internazionale, ndr) sarà prociclica», che, dopo poche righe, «è una manovra espansiva ma la crescita è un’altra cosa», che, parlando di reddito di cittadinanza, è «paradossale il fatto che si possa rinunciare a due/tre proposte di lavoro in un Paese in piena emergenza occupazionale», le contraddizioni aumentano.
Cosa chiede Vincenzo Boccia, cosa manca nella manovra? Un taglio netto del cuneo fiscale nonché detassazione e decontribuzione totale dei premi di produzione per i contratti di secondo livello aziendale, investimenti per aumentare la produttività, un grande piano di inclusione giovani con la decontribuzione e la detassazione totale per le assunzioni a tempo determinato, quelle che nell’era Renzi del Jobs Act hanno dopato il mercato del lavoro come dimostra la sua recente stasi. Sono proposte contenute nel Patto di Fabbrica, siglato da Confindustria e dalle altre tre Confederazioni sindacali, ma si tratta di misure oltre che discutibili, come nel caso della decontribuzione e della detassazione totale per le assunzioni a tempo indeterminato dei giovani (non avrebbero il sapore di un assistenzialismo alle imprese?), anche molto costose, come ben dovrebbero sapere proprio coloro che – prima della grande opera diplomatica del premier Giuseppe Conte – stigmatizzavano i contenuti della manovra in quanto disallineata dai parametri richiesti dall’Ue, parametri che, attenzione, dipendevano anche da precedenti Governi. Nella manovra, invece, esistono misure per il lavoro e per l’inclusione dei giovani, si chiamano reddito di cittadinanza (che coinvolge le imprese) e quota 100, ci sono interventi per sbloccare le infrastrutture e per stessa ammissione di Boccia sono state confermate anche alcune misure in materia di tecnologia e formazione.
Allora forse il punto è un altro. Non si può pretendere che il Governo attuale, il più politico di tutti quelli che lo hanno preceduto, potesse disattendere le promesse fatte in campagna elettorale. Pretenderlo significa riaffermare il primato dell’economia sulla politica ma così non è o, meglio, non lo è più, e senza alcuna contraddizione.