Un esercito di oltre 880mila addetti che assicurano larga parte dei servizi, esclusi quelli sanitari, sul territorio. È questo il fenomeno delle partecipate nel nostro Paese, sul quale interviene anche la legge di Bilancio attualmente in discussione in Parlamento; nella attuale formulazione, i commi 407 e 408 dell’articolo 1 prevedono infatti che le amministrazioni pubbliche non siano tenute alla revisione e alla alienazione delle quote azionarie, laddove le partecipate abbiano prodotto un risultato medio in utile nell’ultimo triennio. Una possibilità, molto apprezzata, destinata a durare almeno fino al 31 dicembre del 2021 che riconosce l’efficienza e l’efficacia della azione delle partecipate. Fra il 2015 e il 2016, si è registrata una contrazione in termini di unità, ora quantificabili in 9.240 unità, di cui 6.576 attive, e di addetti (-0,3%). Un aspetto decisamente interessante che getta una luce nuova su tante polemiche che si sono registrate in passato. La produttività del lavoro, misurata in termini di valore aggiunto per addetto, è di oltre il 50% superiore a quello delle aziende con le stesse forme giuridiche non partecipate dal pubblico. Al solito, qualcuno potrebbe controbattere che si tratta di medie, per cui a fronte di poche partecipate che registrano perfomance notevoli, la maggioranza è in ritardo. Un ragionamento che non tiene. I numeri confermano, invece, che l’imprescindibilità della presenza pubblica nei servizi essenziali.