di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Nella grande confusione che regna sotto il cielo, occorre armarsi di santa pazienza e cercare di fare un po’ di chiarezza. Parliamo di manovra, naturalmente. Per prima cosa, una considerazione sull’opposizione, politica e mediatica, ai gialloblu. La faccenda qui è ai limiti del paradossale: se si sfora non va bene, il governo viene considerato un irresponsabile portatore di spread e malaugurio, se, invece, ci si ingegna e si tira la cinghia, non va bene lo stesso. In secondo luogo, l’atteggiamento della Commissione. Fastidiosamente parziale, sbilanciato a favore di alcuni, leggasi Macron, e contro altri, l’Italia, nella fattispecie. Una sensazione di partigianeria ai nostri danni che tutte le, pur sacrosante, considerazioni su debito, deficit e Pil delle due Nazioni a confronto, non riescono a eliminare. Detto questo, bisogna fare, per amore di verità, un importante distinguo. Ovvero quello, proverbiale, fra la spesa e l’impresa. La spesa: all’Italia si chiede di rimanere ancorata a determinati limiti, per ragioni legate alla stabilità economica, conseguenti alla sua situazione di grave indebitamento. Limiti che per noi – sembrerebbe solo per noi – devono essere rigorosissimi. Il tetto è il 3%, ma per l’Italia a quanto pare è stato “cortesemente” abbassato ad un massimo del 2%. Altri possono sforare, noi no. I gialloblu hanno provato a tirare un po’ la corda: 2,4%. Però, ed è una questione non da poco, non per elargire i soliti bonus, ma per realizzare politiche espansive, finalizzate, secondo il governo, a far crescere il Pil e quindi migliorare il rapporto dal lato del denominatore. L’Europa ha risposto con un secco “niet” e, per evitare una pericolosa procedura di infrazione, il governo ha rivisto al ribasso la spesa: “I conti erano stati approssimati per eccesso – hanno detto da Palazzo Chigi – ricontrollando bene, continuare con il progetto delle politiche espansive senza però arrivare allo scontro con la Ue è possibile”. Così si è scesi al 2,04%, senza cambiare i contenuti della manovra. Di nuovo è arrivato un no. Ora si tratta ad oltranza con Bruxelles sugli ultimi decimali. Ed ecco che arriva il punto della questione: l’impresa. L’impresa è quella di mandare le persone in pensione ad un’età ragionevole, aiutare poveri e disoccupati a vivere dignitosamente e reinserirsi nel mondo del lavoro, consentire alle aziende di superare la crisi non essendo affossate da tasse, dirette e indirette, impossibili da pagare. Questo è l’obiettivo da raggiungere, sul quale non si deve indietreggiare. Se si riuscirà ad ottenere senza sforare troppo, tanto meglio. A questo punto, chi, in Italia o in Europa, continua ad opporsi, sembra voler ostacolare non la troppa spesa, che ora è radicalmente diminuita, ma, piuttosto, la stessa impresa, ovvero le politiche economiche espansive, redistributive e di giustizia sociale.