di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Ci risiamo. Ci sono alcuni italiani che proprio non sopportano gli italiani e non perdono occasione per descriverli come pessimi soggetti. Questa volta è il turno del Censis, capitanato dal Presidente De Rita, che nell’annuale “Rapporto sulla situazione sociale del Paese”, il 52°, etichetta i nostri connazionali come – addirittura – “cattivi”. A questo punto logica vorrebbe che tale cattiveria fosse dimostrabile, come a uno studio scientifico si richiede, con dati oggettivi. E l’unico modo non solo possibile, ma anche accettabile dal punto di vista dell’onestà intellettuale per quantificare la cattiveria, in uno Stato di diritto, è il commettere reati. Eppure l’Istat ha rilevato l’esatto opposto, ovvero che negli ultimi anni il numero di reati denunciati dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria è sensibilmente diminuito. Dai 2 milioni e 892mila del 2013, nel 2017 siamo scesi a 2 milioni e 429mila. 462mila in meno. Quasi tutti i tipi di reato, nel lasso di tempo considerato, sono calati. In cosa consisterebbe quindi questa cattiveria serpeggiante fra gli italiani? Presto detto. Gli italiani sono cattivi non perché commettano delitti o atti violenti, ma semplicemente perché hanno idee diverse rispetto a quelle ritenute “buone” dal Censis. A chiarire meglio il concetto, un’illuminante definizione coniata dal team di De Rita. Gli italiani sono cattivi perché affetti da una patologia nuova di zecca, il “sovranismo psichico”, che li porta a compiere la più cattiva fra le possibili cattiverie: non votare il Pd. I sintomi del gravissimo morbo sarebbero i seguenti: considerare in modo negativo l’immigrazione dai Paesi non comunitari, il 63% degli italiani lo crede, ergo, per il Censis, è cattivo, il 69,7% degli italiani non vuole vicini di casa rom, cattivi ma forse un po’ più sinceri dei buoni, il 57% pensa che l’appartenenza alla Ue non abbia giovato all’Italia, cattivissimi. Ora, è giusto riconoscere il fondamentale apporto che gli enti di ricerca offrono per conoscere meglio il Paese e nel Rapporto Censis troviamo molti elementi interessanti su povertà, occupazione, livello di istruzione, gap economico e sociale fra Centro-Nord e Mezzogiorno e così via. Ma è altrettanto doveroso chiedere e forse addirittura pretendere da chi si presenta come osservatore super partes che le analisi non siano offuscate da giudizi politici tanto faziosi, che ledono non tanto l’immagine dell’Italia, quanto quella degli enti stessi che li emettono. Per quanto riguarda gli italiani, ormai dipinti come “brutti, sporchi e cattivi”, forse sono più che altro semplicemente stufi di essere sempre meno ascoltati e sempre più giudicati da una vecchia classe dirigente – politica ed intellettuale – che si sta vedendo franare il terreno sotto i piedi e che invece di interrogarsi su cause e conseguenze, reagisce con stizza quasi puerile.