Si annunciano tensioni sul versante degli istituti di credito. Per una volta, non si tratta di risparmiatori la cui fiducia è stata tradita, ma del personale dipendente, pronto a mobilitarsi a difesa del proprio potere d’acquisto. Il prossimo 31 dicembre, infatti, va in scadenza il contratto collettivo nazionale di lavoro. Già tre anni fa, in occasione dell’ultimo rinnovo, non mancarono tensioni, tanto che anche i bancari arrivarono a scendere in piazza in massa, una cosa certamente non usuale in un comparto considerato genericamente moderato e sul quale pesa anche l’applicazione della normativa sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali. La richiesta che arriva dal sindacato è chiara. A fronte di utili conseguiti nell’anno in corso per almeno dieci miliardi di euro e con una prospettiva di ulteriore incremento nel 2019, il sindacato chiede il pieno recupero dell’inflazione e un giusto riconoscimento della produttività, parametro ormai sempre più gettonato nei rinnovi contrattuali, avvertendo che non sarebbe accettabile una disdetta unilaterale. L’Abi, l’associazione datoriale che riunisce i banchieri, invita, da par suo, alla ragionevolezza, cavalcando l’onda più o meno lunga del rialzo dello spread, giustificazione che, però, al momento, tiene fino ad un certo punto, visto che le oscillazioni sui tassi sono un fenomeno breve e neanche di entità paragonabile a quanto accaduto sul finire del 2011.