di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Con un pizzico di ironia si potrebbe dire che, se anche un orologio rotto per due volte al giorno segna l’ora esatta, così, allo stesso modo, può persino capitare che il più illustre tra i “padri nobili” del Pd, ovvero il professor Romano Prodi, ogni tanto possa avere ragione. L’ex premier e commissario Ue è stato, infatti, intervistato a proposito delle prossime primarie del Partito Democratico ed in modo eloquente ha subito centrato il punto: “Bisogna dire quello che uno vuole, che Paese e che partito si ha in testa. Mi attendo che finalmente si cominci a presentare le differenze che non sono di personalità ma di contenuto”. Se sappiamo, infatti, i nomi dei candidati alla segreteria del principale partito di sinistra, non è altrettanto chiaro quali siano in concreto le differenze programmatiche che dovrebbero spingere gli elettori del Pd a scegliere l’uno piuttosto che l’altro. Sappiamo che Zingaretti è romano, Minniti serio e Martina conciliante, conosciamo il grado di renzismo di Damiano e Richetti, abbiamo notizia del fatto che Corallo è giovane ed è noto che Boccia è disposto al dialogo coi 5 Stelle. Francamente, un po’ poco per guidare un Paese. Specie considerando il fatto che, nel frattempo, sull’altro fronte, segnatamente quello della maggioranza gialloblu, ogni giorno o quasi si discute, anche piuttosto animatamente e i giornali non mancano di sottolinearlo, su “quisquilie” quali l’economia, il lavoro, gli ammortizzatori sociali, le pensioni, il fisco, l’ambiente e i rifiuti, la riforma della giustizia, le grandi vertenze, il destino di Alitalia o la ricostruzione del Morandi. Ognuno dice la sua in modo molto veemente e chiaro, ognuno propone analisi e soluzioni differenti, con posizioni nette e distinte non solo tra Lega e 5 Stelle, ma qualche volta anche all’interno dei due movimenti stessi. Si trovano spunti in totale discontinuità rispetto al passato, si propongono novità radicali, ci si confronta, ci si scontra per una volta su temi seri e non su poltrone e, finora, al termine della discussione, ci si accorda su un compromesso. Dall’altra parte, il nulla. Quale sia il progetto del Pd e dei suoi candidati, romani o no, seri o concilianti, vecchi o giovani sui temi più importanti ed i problemi più scottanti del Paese, non è dato sapere. O meglio, il faro che guida l’azione dei Democratici è quello sbiadito di una mesta conservazione dell’esistente, nonostante questo esistente sia tanto deludente da aver spinto gli italiani a voler cambiare tutto. Il leitmotiv resta un generico “più di questo non si può fare”, pena scontentare l’Europa e i mercati, e se gli italiani se la passano male imparassero a stringere la cinghia. Il tutto corredato dalle solite accuse di incompetenza quando va bene, di fascismo nei casi più eclatanti, nei confronti di chi cerca di fare qualcosa.