di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Ogni qual volta dovesse sorgere un dubbio sul fatto che un ricambio – radicale – della cosiddetta classe dirigente fosse ormai necessario, ecco che dalle pagine di un qualche quotidiano spunta fuori un’intervista a qualcuno dei suoi membri, per dare conforto ai “populisti” e rassicurarli sulla bontà delle loro ragioni. Oggi è la volta di Giuseppe De Rita del Censis, che con noncuranza getta benzina sul fuoco affermandone di ogni contro il popolo invidioso e rancoroso. Una vecchia canzone di protesta diceva “e sempre allegri bisogna stare, che il nostro piangere fa male al re”. Oggi il re non c’è più, c’è però un establishment che si rattrista, dovendo avere a che fare con un popolo insolente, che si permette di criticare le cose che non vanno, che osa chiedere un cambiamento e perfino votare per chi promette di farlo. Se il bersaglio dell’invettiva sembrerebbe sulle prime essere solo Grillo ed il suo movimento, per aver dato – assieme alla Lega, che però, curiosamente, non viene citata – voce ad un popolo in subbuglio, ad una più attenta lettura il vero obiettivo risulta proprio il popolo in quanto tale, colpevole di non accettare il proprio destino di povertà ed insicurezza col sorriso sulle labbra. Il popolo è oggi il “ceto medio”, categoria che comprende operai ed impiegati, piccoli imprenditori e dipendenti da Jobs Act, giovani precari e pensionati. Classi che un tempo si fronteggiavano e che oggi, invece, sono accomunate dalla crisi e costituiscono quel 99% che si contrappone al restante 1%, la borghesia, ormai solo “alta”, che quella piccola e media è evaporata da un pezzo. Non è sufficiente, come suggerisce De Rita, che qualcuno del popolo riesca col suo ingegno a scavalcare la barricata e passare dalla parte dei pochi che contano. Occorrono soluzioni per aiutare la maggioranza delle persone, in difficoltà, a stare meglio. Un concetto lapalissiano, che spiega la compresenza nella manovra economica di reddito di cittadinanza e flat tax e che, tuttavia, non riesce a penetrare nelle menti dei nostri più illuminati maître à penser. Che non arrivano proprio a capire le ragioni della rabbia e della voglia di cambiare di chi negli scorsi anni è stato privato di ogni certezza e speranza dalle fallimentari politiche globaliste ed ultraliberiste. Cosa consiglia De Rita ai giovani precari, ad esempio? Non chiedere, tantomeno pretendere, dai propri rappresentanti politici una riforma del lavoro, degli ammortizzatori sociali o del fisco, non politiche industriali o infrastrutturali. Ma sbarcare, gioiosamente, il lunario con quello che passa il convento, consegnando pizze a cottimo nell’attesa della dipartita dei propri genitori, quando si potrà mettere a frutto la casa di famiglia, ottenuta con fatica negli “obsoleti” anni in cui il lavoro era stabile e tutelato, magari aprendo un B&B. Che mangino brioche.