Facendo due più due, la partita a questo punto potrebbe e dovrebbe giocarsi sul versante delle relazioni industriali. L’Istat ha appena pubblicato un report che conferma un dato noto da tempo: nel nostro Paese, la produttività dei fattori cresce meno rispetto alla media dell’Unione europea. Il periodo di tempo analizzato è ampio, in quanto va dal 1995 al 2017, passando quindi per periodi storici molto diversi fra loro. Ebbene, in questo lasso di tempo, la produttività totale dei fattori per l’intera economia è vicina alla zero. Considerando la sola produttività derivante dall’apporto di lavoro si registra un tasso medio annuo dello 0,4%, mentre, guardando alla sola componente capitale, si sale allo 0,7%. Non è un caso che la produttività del lavoro sale, nell’ordine del punto e mezzo percentuale, soprattutto in Germania, in Francia e in Gran Bretagna, dove le relazioni industriali sono particolarmente forti e diffuse. L’Italia continua ad essere penalizzata, in questo senso, dalla mancata attuazione dell’articolo 46 della Costituzione sulla partecipazione dei lavoratori. Del resto, andando a scorrere i dati sulla contrattazione collettiva aziendale e territoriale si scopre come essa abbia una diffusione a macchia di leopardo, più forte al Nord e quasi del tutto assente nel Mezzogiorno, con conseguenze negative sulla competitività delle imprese e sugli stessi redditi dei lavoratori dipendenti.