di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Oggi è in corso il primo sciopero generale contro il governo gialloblu. Forse non tutti se ne sono accorti, data la scarsa adesione ad un’agitazione indetta solo da alcune sigle e per questo, pur con la dovuta sensibilità confederale nei confronti di colleghi – lavoratori e sindacalisti – che esercitano il sacrosanto diritto di sciopero, possiamo definire quello odierno come un venerdì, non tanto nero, quanto, più anonimamente, grigio. Come il cielo di questi giorni d’autunno. Grigio non solo per l’impatto poco incisivo, e neanche per la consuetudine, forse da accantonare nei tempi nuovi in cui si chiede cambiamento e coraggio, perfino un pizzico idealismo, di indire le agitazioni sempre a cavallo del fine settimana, come fossimo in una Prima Repubblica qualsiasi e non nel vortice di un cambio di passo – economico e sociale –che ha messo l’Italia al centro dello scenario internazionale. Grigio, infatti e soprattutto, proprio per le motivazioni che sono alla base della protesta stessa. Ovvero: il governo nei suoi primi pochi mesi di turbolenta vita mette in moto una serie di provvedimenti, la manovra e non solo, di chiaro ed evidente impatto ridistributivo del benessere e dell’inclusione, tesi alla promozione delle categorie più deboli – precari, col decreto dignità, pensionati, con l’introduzione di quota 100 e lo smantellamento della Fornero, disoccupati, con il reddito di cittadinanza, piccoli artigiani e commercianti, con la pace fiscale per i contribuenti vessati da Equitalia – tanto da inimicarsi l’establishment globale dell’austerity, dell’ultraliberismo, della finanza ed ecco che scatta lo sciopero generale. Un cortocircuito dal sapore paradossale, di cui si è accorto anche Di Vico del Corriere, quotidiano non certo filogovernativo. Gli scioperanti, infatti, cosa chiedono esattamente all’esecutivo? L’abolizione del jobs act, reddito garantito, una riforma delle pensioni con quota più bassa di cento. Ossia dicono ai gialloblu che la loro linea politica è quella giusta, ma occorre fare ancora di più, bisogna spingere ancor di più sull’acceleratore delle riforme, dimostrandosi però, delle due l’una, nel miglior caso totalmente sordi e ciechi di fronte alle sirene del rating, dello spread e della tenuta dei conti, facendo apparire moderati Salvini, Di Maio e Savona, oppure, nella peggiore delle ipotesi, velleitari, chiedendo con consapevolezza ciò che già si sa essere irrealizzabile. La giornata di oggi mostra le difficoltà della vecchia politica e del vecchio sindacato, rispetto alle novità straordinarie che stanno accadendo nel Paese. Una sinistra che dice, contemporaneamente, che l’alternativa populista e sovranista, appena nata e già ricca di promesse mantenute, fa troppo ed anche troppo poco. Che ammicca a Standard and Poor’s ma non vuole rinunciare ad indossare la maglietta con il volto del Che.