di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Guardando oltre i confini dell’Europa, si osserva che il mondo intero è in una delicata fase di transizione. Sembra ormai lontanissima l’epoca che il politologo americano Fukuyama aveva riassunto nell’espressione “fine della storia” immaginando, dopo il crollo del muro di Berlino, un incontrastato dominio del liberismo globalista a guida Usa. Pare perfino archiviata la fase successiva, quella dello “Scontro di Civiltà” che vedeva contrapporsi da un lato l’Occidente americanizzato – nella versione progressista come in quella conservatrice – e dall’altro l’islamismo radicale, ultima violenta roccaforte dell’oscurantismo. Se si immaginava una netta vittoria del primo, militarmente ed economicamente preponderante, rispetto al secondo, e la definitiva creazione di un uniforme “villaggio globale” laico ed occidentalizzato, così non è stato. È invece accaduto qualcosa di diverso e forse imprevedibile. Le criticità determinate dal modello liberista di globalizzazione da un lato ed i timori scatenati dal confronto e dallo scontro con la minaccia rappresentata dal terrorismo dall’altro hanno prodotto una risposta nuova, il cosiddetto “sovranismo”. La Patria che non impone a suon di bombe la democrazia, ma che non vuole neanche essere diluita – culturalmente, socialmente ed economicamente – in un minestrone ultraliberista. Questa nuova visione non si è fatta largo in piccoli Stati ai margini del consesso internazionale, ma vede i suoi maggiori esponenti, seppure in modo differente fra loro, proprio nei leader delle due massime potenze mondiali: ovvero la Russia di Putin e gli Usa di Trump. Nei pochi giorni che ci separano dalle elezioni di medio termine statunitensi, fondamentali per veder confermata la linea politica trumpiana, stanno accadendo fatti insoliti ed inquietanti. Oltreoceano sta prendendo corpo una, fortunatamente inoffensiva, stagione di minacce via pacchi bomba, indirizzate verso illustri personalità Dem, da Soros a Obama, esponenti, ora in declino, della passata stagione. Allo stesso tempo, per la prima volta, dopo l’omicidio Kashoggi, si mette in evidenza la contraddizione insita nel rapporto privilegiato fra l’America, assurta a paladino dei diritti umani, e l’evidentemente antidemocratica Arabia Saudita, svelando al di là di ogni ragionevole dubbio la pretestuosità delle cosiddette “guerre umanitarie” degli anni passati e delle sanzioni economiche comminate sulla base di meri calcoli di realpolitik e non certo a difesa di principi ideali. Una complessa fase di ricerca di nuovi rapporti di forza internazionali.