Brexit sempre più in salita. Non c’è accordo a Bruxelles sulla questione del confine irlandese e slitta  il summit straordinario previsto per novembre. In soldoni: il rischio “no deal” – paventato pochi giorni fa dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e non escluso in precedenza dalla premier britannica Theresa May – è, oggi, uno scenario più probabile. Al punto che, ancora ieri, alcune voci volevano May sul punto di accettare la proposta di un periodo di transizione di 21 mesi, a partire dal 29 marzo 2019, così da avere ulteriore tempo per i negoziati con l’Unione europea. Ipotesi che però la premier britannica ha in parte smentito successivamente: «In questa fase – ha spiegato oggi – è emersa l’idea di creare un’opzione per estendere il periodo di attuazione, ma sarebbe solo di alcuni mesi. Stiamo lavorando per avere la futura relazione con l’UE entro la fine dicembre 2020. In ogni caso non ci sarà bisogno di una proposta di questo tipo, mi aspetto che la transizione finisca a dicembre 2020». Da parte dei 27 è stata confermata la fiducia in Michel Barnier quale negoziatore – da segnalare che durante il discorso di ieri di May non è emersa alcuna novità rispetto alle più recenti posizioni del suo governo – e dunque lo hanno esortato a «continuare il suo sforzo per raggiungere un accordo sulla base delle linee guida» già adottate dall’UE. I guai per May, però, non sono solo a Bruxelles. Ormai in casa è stretta tra due fuochi, attacchi che provengono tanto dai sostenitori della hard Brexit quanto da coloro che averebbero preferito un altro tipo di soluzioni.