UE: si registra un crescente scetticismo in Italia: i dati dell’ultimo Eurobarometro parlano chiaro e celano ragioni profonde 

Se gli italiani sono tra i meno entusiasti dell’Unione europea, un motivo deve pure esserci. Un motivo che necessita di essere analizzato, approfondito, contestualizzato al di là di un sentimento – e i fatti hanno in verità già smentito questa retorica – eventualmente trainato dalle forze politiche cosiddette euroscettiche. Il dibattito in corso in Italia (e altrove) non è tanto sull’UE quanto sul tipo di Unione che vogliamo costruire in futuro, nell’ottica di un’Europa che appartenga davvero ai popoli. Il dato dell’ultimo Eurobarometro è chiaro: solo il 44% degli italiani voterebbe per restare nell’Unione europea in caso di referendum in stile Brexit, gli indecisi sono il 32% mentre il 24% vorrebbe sicuramente non fare più parte del club. Per rendere l’idea: la media europea di quanti rimarrebbero in UE se chiamati ad esprimersi al riguardo si attesta al 66%. Nello specifico la percentuale italiana è la più bassa tra i 28, addirittura più bassa di quanto registrato nel Regno Unito, dove sono sul serio alle prese con il processo di uscita, pur con tutte le difficoltà politiche del caso. A questo si aggiunga un altro elemento: solo il 42% degli italiani intervistati ritiene positiva l’appartenenza all’Unione, il secondo dato più basso dopo quello della Repubblica Ceca. Gli italiani sono forse impazziti? Ovviamente no. Ci sono ragioni profonde e logiche dietro queste risposte. Partiamo da un fatto: i più recenti esiti elettorali – l’ultimo quello in Baviera domenica scorsa – dovrebbero comunque essere un campanello d’allarme per Bruxelles, a dimostrazione di un malcontento più diffuso di quanto un sondaggio d’opinione possa rivelare. Etichettata da anni come il “malato d’Europa” e spesso sotto la lente d’ingrandimento, obbligata a svolgere costantemente «i compiti a casa», per usare un’espressione tanto in voga qualche tempo fa, l’Italia è dovuta sottostare ai più ampi diktat europei. Che a fronte di una (presunta) tenuta dei conti pubblici, sono costati ai cittadini un impoverimento generale – il nostro, ci ricordava soltanto ieri l’Eurostat, è tra i pochi paesi UE che ha visto aumentare nell’ultimo periodo il numero di persone a rischio povertà –, l’erosione del ceto medio, consumi in calo, lavoro precario, una crescita contenuta. E le polemiche di questi giorni con i vari Juncker e Moscovici in testa, pronti a sentenziare anzitempo sulla bontà di una manovra ambiziosa e volta al benessere collettivo, di sicuro non pende a favore di chi attualmente occupa le posizioni ai vertici delle istituzioni europee. Il tema immigrazione è l’altro grande nodo da sciogliere. L’Italia è rimasta a lungo isolata nella gestione dei flussi migratori, provocando fratture sociali e, talvolta, persino casi diplomatici. Stando all’Eurobarometro non stupisce, quindi, che nell’agenda delle priorità in vista della campagna elettorale per le europee di maggio l’immigrazione risulti essere al primo posto (50%) – segue l’economia (47%) e la disoccupazione giovanile (47%) –, percentuale che in Italia sale al 71%. Forse è giunto il momento – meglio tardi che mai – di farsi qualche domanda nei palazzi di Bruxelles…