di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

In Italia, la questione giovanile – ovvero quel complesso di situazioni sfavorevoli che rendono arduo e faticoso per le nuove generazioni partecipare al processo formativo, inserirsi pienamente nel mondo del lavoro, rendersi indipendenti e metter su famiglia – ha molte sfaccettature. Una di queste riguarda quei giovani che sono riusciti a conseguire una laurea. Un’indagine dell’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro su dati Istat ha recentemente reso noto il fatto che, fra i trentenni laureati, 4 su 10 sono disoccupati o sottoccupati. Su 1,7 milioni di trentenni con la laurea, 344mila sono disoccupati, ovvero il 19,5%, mentre altri 336mila, il 19%, è sotto occupato, ossia opera in posizioni professionali che non richiedono laurea. Questi dati vanno ulteriormente approfonditi ricordando innanzitutto che i giovani laureati hanno, comunque, un tasso di occupazione maggiore rispetto ai coetanei diplomati (+8%) e rispetto ai trentenni con la sola licenza media (+24%) e sono pagati mediamente di più rispetto ai pari età con titolo di studio inferiore, ovvero il 20% in più dei diplomati ed il 30% in più di chi ha la licenza media. Si tratta, però, di una ben magra soddisfazione. In Europa, infatti, il tasso di disoccupazione medio dei laureati è del 4,6%, mentre in Italia è del 6,5%, nonostante il fatto che nel nostro Paese la percentuale dei laureati fra i giovani sia ancora molto bassa. Siamo i penultimi in Europa con solo il 26,9% delle persone tra i 30 e i 34 anni in possesso del titolo accademico; solo la Romania ha una media più bassa, con il 26,3%. Ovvero: abbiamo pochi laureati e, nonostante ciò, quei pochi non trovano lavoro o sono sotto-occupati. Con la conseguenza di veder sprecato l’investimento non solo personale, ma anche quello riposto dalla propria famiglia e dalla società in generale. Le cause sono molte, dalla mancanza di una connessione efficiente fra sistema formativo e mondo del lavoro, all’assenza di una sufficiente dote di meritocrazia che permetta di mettere in relazione preparazione personale ed effettivo successo professionale, alla necessità di maggiore attenzione all’innovazione, ricerca e sviluppo – che passano necessariamente attraverso una forza lavoro altamente qualificata – nelle aziende. Le conseguenze sono negative: molte menti brillanti fuggono all’estero, così contribuendo alla crescita culturale ed economica di altri Paesi e non del proprio, altri giovani, invece, si accontentano di standard di lavoro e di vita inferiori alle aspettative. Occorre mettere riparo a questa situazione, con interventi sulle politiche industriali e del lavoro e nel mondo dell’istruzione e della formazione. L’obiettivo è quello di stabilire un’alleanza intergenerazionale che permetta di mettere in sinergia tutte le forze per dare al nostro Paese ed ai suoi giovani il futuro che meritano.