di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Per la prima volta da quando è in carica, l’Esecutivo ha deciso di ricorrere al voto di fiducia, per evitare l’ostruzionismo che avrebbe rallentato l’approvazione del decreto “milleproroghe”. Come ricordiamo bene, l’utilizzo dell’istituto della fiducia, ovvero della prassi “prendere o lasciare” che per non far cadere il governo in carica obbliga Deputati e Senatori a scegliere solo fra un sì o un no alla legge presentata dall’Esecutivo senza poter apporre emendamenti, non è certo una novità per i governi italiani. Specie nell’ultima legislatura, quella tristemente nota agli Italiani per essere stata monopolizzata dal Pd, è stata utilizzata a dismisura. Allora il Partito Democratico, nonostante il fatto che alle politiche del 2013 avesse ottenuto più o meno un terzo dei voti, riuscì comunque, tramite il sistema elettorale al tempo vigente, il cosiddetto “porcellum”, a conquistare una stentata  maggioranza dei seggi parlamentari e, dopo uno stallo durato due mesi e grazie ad una serie di alleanze, a dar vita agli esecutivi Letta, poi Renzi ed infine Gentiloni. Con una così scarna maggioranza a disposizione, il ricorso alla fiducia è stato piuttosto frequente: è stata usata 10 volte dal governo Letta, 66 da quello Renzi e 32 dall’ultimo, guidato da Gentiloni. In tutto, quindi, 108 volte, determinando così l’approvazione di più di cento fra le 354 leggi approvate nella XVII Legislatura, circa un terzo. Le leggi approvate tramite queste votazioni di fiducia hanno riguardato materie anche delicatissime come la riforma della pubblica amministrazione, il jobs act, la buona scuola, il salva banche, il decreto migranti, perfino la legge elettorale. Ora però, dimostrando la memoria di un pesce rosso o meglio una notevole dose di sfacciataggine, alla prima richiesta di fiducia su una legge da parte del nuovo Governo, il Pd, ora all’opposizione, si scandalizza e promette barricate. La motivazione, sostanzialmente, cavilli regolamentari. Gli esponenti dell’opposizione hanno parlato di “fiducia illegittima” mentre il Governo ha rispedito le critiche al mittente affermando che è tutto nella norma e che già ci sono precedenti simili. Ora, francamente, pur senza entrare nei tecnicismi dei regolamenti parlamentari e senza voler scomodare evangelici paragoni fra travi e pagliuzze negli occhi, l’impressione generale è quella di una certa mancanza, fra i banchi del Pd, di un comunissimo eppure indispensabile senso del ridicolo che ci risparmierebbe simili annaspamenti volti a riconquistare l’opinione pubblica. L’opposizione in democrazia è indispensabile, ne ha bisogno anche e soprattutto chi ha voluto dare fiducia a questo Governo, e per questo ci auguriamo dibattiti serrati in Parlamento, sì, ma sul merito più che su forme e metodi, e critiche sensate e circostanziate, soprattutto finalizzate ad ottenere il meglio per il Paese.