di Caterina Mangia

Lavorare con la realtà è bene. Ma “aumentarla” è meglio.
Questo l’esito di un report del Capgemini Research Institute, secondo cui un’altissima percentuale delle aziende che utilizzano la realtà aumentata  e quella virtuale – l’82% – dichiara di aver ottenuti risultati pari o superiori alle attese.
Il risultato lascia prevedere che gli sviluppi delle nuove tecnologie sono destinati a cambiare il volto del lavoro nei prossimi anni. Tanto più perché secondo la ricerca, dal titolo “Augmented and Virtual Reality in Operations: a guide for investment”,  il 50% delle imprese che ancora non utilizzano ancora le nuove possibilità operative pianificano di farlo entro un triennio. Insomma, da qui al 2021 sarà abituale in azienda avere a che fare con nuovi orizzonti del lavoro, che prevedranno operazioni basate su un reale virtualizzato o a cui vengono sovrapposte informazioni artificiali per mezzo di un tramite tecnologico.
C’è però un grande freno al dilagare delle novità hi-tech: se è vero che è a disposizione una vasta gamma di possibilità “futuristiche” per il mondo del lavoro, è altrettanto vero che è l’uomo a non riuscire a tenere lo stesso passo. Secondo gli analisti, la potenziale crescita è rallentata dalla carenza di personale adeguatamente formato e dalla mancanza di strutture di back-end.
Nel campo dell’industria 4.0, così come nella ricerca e nell’innovazione, la grande sfida è quella di far incontrare domanda e offerta occupazionali: serve una riflessione lungimirante orientata alla preparazione dei lavoratori di oggi e di domani.