di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

La vicenda di autostrade, come è giusto che sia, continua a restare sulle prime pagine dei giornali e ad andare in apertura sui principali telegiornali del nostro Paese. Su Youtube, il video del momento del crollo ha già avuto oltre 1,8 milioni di visualizzazioni sul canale di Repubblica, altrettanti su Fanpage più altre centinaia di migliaia sparse su siti vari a conferma di quanto l’immane tragedia del collasso del Ponte Morandi che ha colpito Genova abbia lasciato sgomenti gli italiani. A distanza di un paio settimane, dopo che molte cose sono state dette, è il momento di tirare le fila per capire cosa si può e si deve fare. In primo luogo, occorre rimettere in piedi il viadotto e, con esso, l’economia di una parte importante dell’Italia del nord ovest. Siamo convinti che l’opera di ricostruzione del Ponte Morandi debba essere la priorità del governo, con l’obiettivo di riportare alla normalità Genova e i suoi cittadini. Le parole d’ordine devono quindi diventare velocità ed attenzione, dimostrando così che è possibile realizzare opere strategiche in tempi rapidi, nel rispetto delle normative ed evitando gli sperperi del passato. Parallelamente, occorre aprire una seria riflessione sulle privatizzazioni nel nostro Paese e, soprattutto, sul sistema delle concessioni sulle reti e i servizi. I drammatici fatti del 14 agosto hanno tolto quel pesante velo che ha sempre impedito di sapere cosa ci fosse scritto sulla concessione di Autostrade per l’Italia a vantaggio di Atlantia. Sono serviti 43 morti ed oltre dieci anni perché i cittadini potessero finalmente leggere i contenuti degli allegati. Finora non era stato possibile, perché il gestore si era sempre opposto, trincerandosi dietro la tutela dei segreti industriali e commerciali del piano. Una cosa per molti versi assurda ed incomprensibile visto che, ad occhio, non sembra proprio che una attività in concessione richieda chissà quali brevetti, se non forse quello sul sistema di verifica del rispetto dei limiti di velocità e del pagamento dei pedaggi. Ed allora, nelle condizioni è previsto comunque un rialzo minimo delle tariffe nell’ordine del 70% dell’inflazione reale, una cosa sorprendente, considerato che, ad esempio, la scala mobile, il meccanismo che permetteva di allineare gli stipendi al costo della vita, è stato abrogato nel 1985. Il capitale, inoltre, è garantito con una remunerazione fissa vicina al 7% annuo; non crediamo che ci siano tante altre imprese in Italia che possono vantare una simile performance. Il tasso di remunerazione degli investimenti è addirittura sopra la medesima soglia. Sul versante della manutenzione, l’aspetto positivo è che quanto previsto sulla carta, 100mila euro al chilometro, è cinque volte superiore ai parametri Anas, peccato, però, che i risultati sono inferiori del 70%. Insomma, motivi per agire ci sono.