di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Ogni epoca ha i suoi “totem e tabù”. La nostra, ovvero quella della globalizzazione finanziaria, affermatasi dopo il crollo del comunismo, ha come supremo feticcio il mercato. Un “dio” severo, implacabile, ma, sulla base di quanto assicurato dai suoi profeti, essenzialmente giusto. Gli oracoli di questa religione immanente fondata sul denaro sono le borse e le agenzie di rating. Soggetti imperscrutabili ai più, che vaticinano senza possibilità d’appello sulla qualità e sul destino di aziende, enti e perfino Stati. Interpretati senza contraddittorio – pena essere considerati eretici visionari – esclusivamente dai sacerdoti detentori dell’ortodossia, ovvero dai commentatori che siedono nelle redazioni dei principali mass media. Il catechismo liberista dipinge tali soggetti come portatori della Verità, animati solo dalla volontà di guardare oggettivamente alla solidità e quindi alla convenienza degli investimenti. Una lettura talmente bambinesca della realtà da non essere sufficiente a convincere i fedeli meno stolidi, specie dopo il bagno di realtà avvenuto ormai da un decennio con l’esplosione della crisi finanziaria prima americana e poi mondiale. Nessuno è imparziale, tantomeno chi maneggia cifre da capogiro o detta giudizi in grado di influenzare le sorti di interi popoli e nazioni. Affermarlo non è complottismo ma semplice buonsenso. Il verosimile declassamento dell’Italia da parte dell’ agenzia statunitense Moody’s ne è un esempio lampante. Non sono, infatti, al momento cambiate le situazioni oggettive, i cosiddetti fondamentali dell’economia: Pil, produzione industriale, inflazione, commercio estero, vendite al dettaglio, disoccupazione sono stabili, in alcuni casi anche in miglioramento. Perché, quindi, declassare? Un eventuale  giudizio negativo sarebbe al momento basato non su dati oggettivi ma esclusivamente su una valutazione preventiva ed ideologica sulle scelte politiche del nuovo governo. Scelte politiche considerate in anticipo come portatrici di conseguenze economiche nefaste sulla base di pregiudizi. Tutto il contrario rispetto alla vulgata che vuole il “mercato” spietato, sì, ma fondato solo su questioni concrete, non certo su prese di posizione politiche. In questo caso quali sarebbero le ragioni oggettive che giustificano giudizi tanto allarmistici da parte di grandi investitori – lo spread – e agenzie di rating? Questi ultimi sembrano piuttosto portatori di una nefasta – per noi italiani, non certo per se stessi – “profezia che si autoavvera”. Ad essere malpensanti, addirittura volutamente destabilizzanti per ragioni economiche – speculative – o, e sarebbe ancor più grave, per fini politici e geopolitici. Capaci di influenze e manipolazioni ben più significative rispetto ai cosiddetti “troll” che postano a raffica sulle pagine facebook dei vip di turno.