di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Il crollo del ponte di Genova non ha segnato solo un terribile lutto nella storia italiana, ma rappresenta anche un punto di non ritorno nell’approccio da tenere nei confronti del nostro impianto infrastrutturale e più in generale dell’intero sistema Paese. La “fine dell’infanzia” per citare il genovese Montale. Se prima della tragedia era già evidente la necessità di garantire all’Italia un sistema di trasporti moderno, efficiente e soprattutto sicuro – dovrebbe essere conditio sine qua non – ora nessuno può più permettersi di rimandare la decisione di concretizzare questa esigenza. Le criticità già note erano molte, non solo in merito al sistema di trasporto su gomma, ma anche relativamente alle alternative su ferro e sulle vie d’acqua, agli aeroporti, alle carenze dei trasporti urbani e metropolitani. Una complessiva carenza che ha penalizzato significativamente lo sviluppo economico e sociale del Paese. Non è la prima volta che l’arretratezza, l’inefficienza e purtroppo anche l’incuria presentano un conto tragico e salatissimo. Basti pensare a Viareggio, alla Puglia ed ai suoi binari unici, alla strage del bus ad Avellino. Stavolta però il dramma, i 43 morti, i feriti, le famiglie distrutte, le centinaia di sfollati, sono rappresentati plasticamente da un enorme monumento ai caduti: il ponte crollato che si staglia sull’orizzonte di Genova, troppo grande per essere nascosto sotto il comodo tappeto della fatalità. È ora di fare i conti, una volta per tutte, con un Paese che ha bisogno urgente di cure. Per troppi anni abbiamo vissuto della rendita – più o meno solida, è il caso di dirlo – lasciataci dal passato, da quello pre-bellico a quello della ricostruzione democristiana del dopoguerra, senza comprendere che quel passato è sempre più lontano, e che quindi ora tocca a noi gettare le basi del nostro futuro, infrastrutturale e non solo. Tocca a tutti noi, alla nostra generazione. Comunque la si pensi, al di là delle responsabilità sul crollo del ponte Morandi che saranno, si spera, accertate e punite al più presto dalla magistratura, al di là della scelta politica – che personalmente ritengo doverosa – di revocare alla società Autostrade la concessione. Il crollo del Morandi segna il passaggio di un’intera classe dirigente all’età adulta. Come in una famiglia un tempo benestante “la prima generazione crea, la seconda mantiene, la terza distrugge”, così è avvenuto nella nostra Italia. Ci siamo limitati a vivere sulla base delle decisioni, giuste o sbagliate che fossero, prese da altri. È ora di comprendere che non possiamo più contare solo sul lascito dei nostri predecessori, né per contestarlo sterilmente, né per – malamente a quanto pare – conservarlo. L’eredità sta sfumando, si sta letteralmente sgretolando, con conseguenze drammatiche. Ora dobbiamo agire. È il momento di rimboccarsi le maniche.