di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

È arrivato il momento di affrontare l’ormai annosa situazione di disagio economico e sociale del Meridione. Questo, sì, sarebbe davvero un segno tangibile del cambiamento tanto invocato dai cittadini. Una sfida difficilissima, dato il fatto che per troppi anni, a causa di politiche sbagliate, le criticità si sono sedimentate, ma ormai improcrastinabile. Infrastrutture carenti, desertificazione industriale, livelli altissimi di disoccupazione, sottooccupazione e povertà. Una situazione ben nota, alla quale l’Ugl dedica da sempre una particolare attenzione, puntualmente ribadita dall’annuale rapporto Svimez, che, seppure con dati di volta in volta leggermente differenti in base agli andamenti economici e sociali, non fa che riproporre, comunque, la drammaticità della questione meridionale. Quest’anno si è parlato addirittura di “cittadinanza limitata” per descrivere lo stato del Mezzogiorno e sintetizzare la realtà vissuta dagli italiani che vivono al Sud, che devono quotidianamente fare i conti con un’offerta decisamente inadeguata in termini di quantità e qualità dei servizi fondamentali: sanità, istruzione, servizi per l’infanzia e le persone non autosufficienti, vivibilità, sicurezza. Un gap che spinge molti residenti ad andare altrove, temporaneamente o per sempre. Alcuni partono, anche con ingenti sacrifici economici, per affrontare terapie mediche nelle aree del Paese nelle quali la sanità è più efficiente, nei cosiddetti “viaggi della speranza”. Molti giovani vanno nelle regioni del Centro-Nord o all’estero per studiare e per cercare lavoro. Negli ultimi 16 anni sono emigrate nel complesso quasi 2 milioni di persone dal Sud, la metà delle quali under 34. Il 16% verso l’estero. Tantissimi, circa 800mila, hanno deciso di non tornare. Molti anche gli stranieri in fuga dal Mezzogiorno in cerca di prospettive migliori. Eppure la crescita del Pil nel 2017, trainata soprattutto dagli investimenti privati, è stata in linea con la media nazionale ed in parte è stato recuperato quanto perso con la crisi. Ma non è abbastanza. Soprattutto a causa della latitanza di un piano di investimenti pubblici, necessario a gettare le basi per uno sviluppo solido e condiviso. Fatto sta che povertà, disoccupazione e sottooccupazione sono dilaganti e se si trova un lavoro è solo quello precario. Ora bisogna provvedere. Tamponando l’emergenza con forme adeguate di sostegno sociale, per poi andare, però, più a fondo cercando di intervenire alla radice dei problemi. Ovvero con interventi strutturali nei settori fondamentali – infrastrutture, servizi, sicurezza, fisco – gli unici che possono dar vita ad un circolo virtuoso di ripresa. Lo diciamo da molti anni, finora inascoltati. Speriamo ora di avere di fronte interlocutori più attenti e soprattutto veramente mossi dalla volontà di cambiare le cose.