di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

L’Italia per i nostri giovani è un Paese poco appetibile, che offre insufficienti opportunità di realizzazione professionale e personale. È l’analisi che viene fuori dall’indagine “Decoding Global Talent 2018”, realizzata dalla Boston Consulting Group, che attesta la propensione di ben 3 ragazzi italiani su 4, ovvero il 75% delle persone nella fascia di età under 30, di andare a lavorare all’estero. Le motivazioni sono diverse e non necessariamente legate al solo fattore economico. Molti giovani, infatti, vogliono partire per ampliare i propri orizzonti culturali ed arricchire il curriculum, oppure cercano all’estero – evidentemente non soddisfatti di quello che trovano in Patria – formazione, scambio con i colleghi, migliori opportunità di crescere professionalmente, in una parola “meritocrazia”. Non c’è naturalmente nulla di male nel voler viaggiare per fare esperienze di lavoro in altri Stati, per crescere dal punto di vista non solo professionale, ma anche umano. Nel nostro Paese, però, il lavoro all’estero più che una legittima ambizione sta diventando quasi una scelta obbligata per i nostri ragazzi, che qui spesso non trovano altro che “lavoretti” ovvero sottooccupazione scarsamente soddisfacente, instabile e poco retribuita. E questo, invece, non è accettabile. Si tratta di un’ingiustizia nei confronti dei giovani, che devono essere messi nelle condizioni di poter continuare a vivere in modo adeguato nel proprio Paese e vicini ai propri affetti, ma si tratta anche di un danno che si ripercuote sull’intero sistema Italia. Un danno economico che è stato quantificato da Confindustria in un punto di Pil, pari a 14 miliardi di euro all’anno, risultante dal complesso dell’investimento che lo Stato e le famiglie dedicano alla crescita ed all’educazione delle nuove generazioni, i cui frutti saranno raccolti non dall’Italia ma dai Paesi nei quali i nostri giovani andranno a vivere ed a lavorare, e del mancato introito per la nostra economia che deriva dall’assenza del capitale umano rappresentato dai giovani italiani. In questi giorni si sta discutendo il “Decreto Dignità”, ovvero il provvedimento che intende modificare, fra l’altro, alcune norme sul mondo del lavoro con l’obiettivo di porre un freno alla precarietà e migliorare la qualità dell’occupazione per i giovani e non solo. In assenza di un preventivo confronto con le parti sociali che sarebbe stato, invece, opportuno ora si attendono le modifiche in Parlamento, nella speranza che l’impianto della legge possa nel complesso essere utile a convincere i nostri giovani a restare ed a contribuire alla ripresa del Paese. Ma, accanto a migliori norme sul lavoro, occorrono anche interventi di politica industriale e fiscale capaci di ridare fiato ad un’economia troppo asfittica e quindi incapace di valorizzare le nuove generazioni.