di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Piovono gli strali di Confindustria sul “Decreto Dignità”, il provvedimento sul lavoro di Di Maio che intende contrastare sottooccupazione e delocalizzazioni. Per Viale dell’Astronomia il decreto è sbagliato e darà vita ad un sistema di regole poco chiaro, disincentivando assunzioni e investimenti. L’Ugl invece è di tutt’altro avviso, come anche le altre grandi Confederazioni, sostanzialmente favorevoli all’intervento del Governo seppure ognuna con la propria sensibilità, ma non è questo il punto. Il punto è l’atteggiamento di molta politica e molta stampa nei confronti dell’una e dell’altra presa di posizione, ovvero quella di Confindustria e quella del sindacato. Quando il sindacato esprime il proprio parere ecco che viene giudicato settario, retrogrado, dedito a difendere in modo miope il proprio orticello. Quando, invece, parla Confindustria tutti gli altri tacciono e prendono appunti, in un atteggiamento francamente fin troppo servile. È giusto e doveroso ascoltare tutte le parti sociali, dato che tutte contribuiscono a mandare avanti il Paese, siano esse rappresentative delle grandi industrie, dei lavoratori dipendenti, del mondo della piccola impresa o del commercio. Non altrettanto giusto sovrastimare alcuni e sottostimare altri, esercitare un severo diritto di critica nei confronti di alcuni e considerare, invece, incontestabile quanto detto da altri. Per molti anni ogni intervento nel campo del lavoro è stato di fatto dettato da Confindustria, che, abbracciando la visione ultraliberista, ha sempre e innanzitutto richiesto riforme volte a rendere il più flessibile possibile il lavoro dipendente. Questa ricetta si è rivelata sbagliata. In questo modo non soltanto si è reso più instabile il lavoro, ma non si è neanche riusciti ad innescare una significativa ripresa economica. Non che elementi di flessibilità non siano necessari: tutti concordano sulla necessità di un’offerta di tipologie contrattuali più estesa ed adattabile alle varie esigenze produttive, senza però trasformare, come invece è accaduto, la buona flessibilità in precarietà e sottooccupazione. Ora, tramite questo intervento, si vogliono ripristinare alcuni paletti al fine di creare maggiore equilibrio fra lavoro dipendente, aziende e Stato – vedasi la questione delocalizzazioni e uso di fondi pubblici – in un clima che si vorrebbe collaborativo e certamente non punitivo verso le imprese, che dovrebbero, infatti, essere destinatarie a breve di cospicui interventi dal punto di vista fiscale, dalla pace con l’erario in caso di impossibilità al pagamento alla flat tax, solo per citare i temi più significativi. Perché, dunque, contestare delle misure di sostegno anche nei confronti del lavoro dipendente? Questo, sì, sembra un atteggiamento settario da parte delle grandi industrie, una battaglia di retroguardia.