Non è certo un caso quando, dal ministro Luigi Di Maio al sottosegretario Claudio Durigon, si rimarca il fallimento del Jobs act e la necessità di rivederne diversi passaggi. L’ennesima conferma arriva dai dati congiunti di Ministero del lavoro, Inps, Istat, Inail ed Anpal. Più dell’80 percento dei nuovi contratti di lavoro, secondo i dati delle comunicazioni obbligatorie, è a tempo determinato; la percentuale è in crescita rispetto allo stesso periodo dello scorso anno di quasi tre punti. Vi è un saldo positivo fra attivazioni e cessazioni e la cosa non può che far piacere, anche se rimane ancora alto il numero dei disoccupati e il tasso di occupazione complessivo continua a rimanere ancorato al 58,2%, lontano dagli Obiettivi indicati a più riprese in sede comunitaria. Inoltre, si sta assistendo alla progressiva scomparsa del lavoro indipendente, che in un anno perde il 3,4%, pari a 186mila occupati in meno. Fra le altre note, prosegue la crescita del lavoro a chiamata o intermittente: seppur in rallentamento, esso aumenta del 64,6%. In aumento pure il lavoro in somministrazione (+23,1%), come è stato segnalato anche da Assolavoro, l’associazione che riunisce le Agenzie per il lavoro, mentre prosegue la marginalizzazione del lavoro accessorio, dopo la riforma che ha introdotto il contratto di prestazione occasionale e il libretto famiglia, fermi rispettivamente a 17mila e 4mila unità.